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Il piano per il reef ignora il cambiamento climatico

il piano per il reef ignora il cambiamento climatico.(Rinnovabili.it) – Non passa giorno senza che nascano nuove critiche alla politica ambientale australiana. Dopo l’affossamento delle energie rinnovabili e la svendita delle aree protette al business privato, ora tocca alle scarse attenzioni verso il cambiamento climatico, variabile non considerata nel piano per la salvaguardia del reef. La barriera corallina, meraviglia subacquea e patrimonio naturale che il Paese dovrebbe curare, sta vivendo una fase di preoccupante declino. Canberra, insieme al governo regionale del Queensland, ha varato il Reef 2050 Long Sustainability Plan per evitarne la scomparsa, ma gli esperti della Australian Academy of Science puntano il dito sulla mancanza di misure che tengano in conto gli effetti del cambiamento climatico. Cosa che renderà l’impegno governativo sostanzialmente inutile, perché «inadeguato a raggiungere gli obiettivi di ripristino o almeno di conservazione del valore universale della barriera corallina». Eppure l’esecutivo si è espresso pubblicamente sul tema, riconoscendo il contributo del climate change al depauperamento dell’Eden sottomarino. Ha anche inserito nel piano una riduzione degli ossidi di azoto del 50% e del 60% dei pesticidi che le navi scaricano sul reef. Senza contare il programma di salvaguardia del dugongo e della tartaruga. Il problema sono i fondi: oltre i 40 milioni di dollari annunciati, non si vede l’ombra di altre risorse.

 

E poi, dicono gli scienziati, l’importanza di un taglio delle emissioni di gas serra non è stata opportunamente evidenziata. Le motivazioni sono più che ovvie: la politica energetica di Tony Abbott va in tutt’altra direzione, dunque sarebbe quantomeno contraddittorio un impegno ad abbattere la CO2 per far respirare il reef. Il timore è che si tratti perciò di un programma sostanzialmente propagandistico, varato per la necessità dell’esecutivo di dare un tocco green a un’immagine piuttosto “brown”.

 

Ma gli esperti hanno sentito subito la puzza di bruciato e non hanno lesinato le critiche per la mancanza, al di là dei proclami, di obiettivi specifici per il reintegro del santuario naturale. Ciò si traduce in un fallimento del tentativo di migliorare la scarsa qualità dell’acqua, evitare la cementificazione della costa e la pesca illegale. Anzi, tutt’altro: il “Sustainable Plan” si concentra, secondo Terry Hughes, direttore dell’Australian Research Council Centre of Excellence for Coral Reef Studies, «sullo sviluppo sostenibile di quattro mega porti adiacenti alla barriera, piuttosto che sulla sua conservazione».

Porti che servono soprattutto ad aumentare le esportazioni di combustibili fossili.

«Sarebbe davvero un fatto tremendo se la grande barriera corallina fosse inserita nelle liste degli ecosistemi a rischio – si preoccupa Hughes – La reputazione dell’Australia subirebbe un grave danno». Sempre che gliene importi qualcosa.

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