L’Academy of Science si scaglia sul governo australiano: «Nessuna misura vera per fermare il cambiamento climatico che minaccia la barriera corallina»
E poi, dicono gli scienziati, l’importanza di un taglio delle emissioni di gas serra non è stata opportunamente evidenziata. Le motivazioni sono più che ovvie: la politica energetica di Tony Abbott va in tutt’altra direzione, dunque sarebbe quantomeno contraddittorio un impegno ad abbattere la CO2 per far respirare il reef. Il timore è che si tratti perciò di un programma sostanzialmente propagandistico, varato per la necessità dell’esecutivo di dare un tocco green a un’immagine piuttosto “brown”.
Ma gli esperti hanno sentito subito la puzza di bruciato e non hanno lesinato le critiche per la mancanza, al di là dei proclami, di obiettivi specifici per il reintegro del santuario naturale. Ciò si traduce in un fallimento del tentativo di migliorare la scarsa qualità dell’acqua, evitare la cementificazione della costa e la pesca illegale. Anzi, tutt’altro: il “Sustainable Plan” si concentra, secondo Terry Hughes, direttore dell’Australian Research Council Centre of Excellence for Coral Reef Studies, «sullo sviluppo sostenibile di quattro mega porti adiacenti alla barriera, piuttosto che sulla sua conservazione».
Porti che servono soprattutto ad aumentare le esportazioni di combustibili fossili.
«Sarebbe davvero un fatto tremendo se la grande barriera corallina fosse inserita nelle liste degli ecosistemi a rischio – si preoccupa Hughes – La reputazione dell’Australia subirebbe un grave danno». Sempre che gliene importi qualcosa.