Studiando la barriera corallina gli esperti ne hanno valutato lo stato di salute, minacciato da climate change e parassiti voraci
“Ci sono chiare differenze nella storia delle tre regioni della barriera corallina. La meno colpita è la regione isolata del nord, che è scarsamente abitata e con attività umana minima. Inoltre, questa regione ha subito pochi uragani e pochi focolai di Acanthaster planci,” ha spiegato Katharina Fabricius dell’Australian Institute of Marine Science (AIMS, per il suo acronimo in inglese), co-autore della ricerca.
Le altre due parti più colpite sono la barriera corallina del sud, che è sotto la pressione dello sviluppo costiero e dell’agricoltura, e che è stato influenzato dalle Acanthaster planci e dai cicloni, e la zona centrale, che ha una agricoltura più intensiva e numerosi pascoli. Ha anche sofferto recentemente per il passaggio di tre cicloni gravi, due focolai che ne hanno aggravato lo sbiancamento e una intesa colonizzazione di questa specie di stelle marine.
Lo studio, redatto seguendo il programma mondiale di monitoraggio più completo mai organizzato, dimostra che le barriere, nonostante i danni subiti dal 1985 ad oggi, hnnoa degli ampi margini di recupero e di ripresa nell’arco di dieci, massimo 20 anni.
“Non possiamo fermare le tempeste e il riscaldamento degli oceani, la principale causa di sbiancamento dei coralli, è uno degli effetti più importanti del cambiamento climatico globale. Tuttavia, si può agire per ridurre l’impatto della corona di spine”, ha dichiarato John Gunn, amministratore delegato dell’Istituto australiano di scienze marine (AIMS) specificando che tale specie di stella marina si nutre esclusivamente di corallo vivo e ne riesce a mangiare circa 10 metri quadrati all’anno. Ad aumentare la proliferazione della specie soprattutto la percentuale sempre più elevata di fertilizzanti che finiscono in mare, per questo l’impegno consisterà nella riduzione dell’impiego di sostanze danno per la barriera corallina.