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Con le nuove regole aumentano gli OGM coltivati in Europa

I cavilli legali contenuti nella nuova direttiva possono annullare i tentativi nazionali di vietare gli OGM e intaccando la sovranità degli Stati

Con le nuove regole aumentano gli OGM coltivati in Europa

 

(Rinnovabili.it) – Non sarà facile come sembra vietare la coltivazione di OGM sul territorio nazionale. Se le aziende o la Commissione europea vorranno esercitare fino in fondo i diritti loro attribuiti dalla nuova direttiva, gli Stati membri potrebbero incontrare grandi difficoltà a mantenere le colture transgeniche fuori dai propri confini.

Il rischio di avere una normativa, ma non poterla formalmente applicare, era già stato sollevato da Rinnovabili.it. Le stesse preoccupazioni sono ora riportate anche in un articolo della professoressa Mary Dobbs, docente di diritto alla Queen University di Belfast.

L’analisi ricorda che la maggior parte degli Stati membri dell’UE, in tutto 19, ha esercitato il diritto legale – concessogli dalla direttiva – di vietare gli OGM. Entro il 3 ottobre hanno potuto godere della easy option, una procedura facilitata. Chi non si è unito al coro di “no” avrà altre occasioni più avanti, ma incontrerà maggiori ostacoli: non basterà una comunicazione di opt out (deroga) inoltrata alla Commissione europea e alle multinazionali le cui colture sono o saranno autorizzate a livello comunitario. Bisognerà motivare il proprio divieto, e non è certo che vi si riesca.

 

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È la prima volta che uno Stato membro può scegliere di non applicare la normativa europea da quando l’Unione, più di 20 anni fa, ha iniziato a regolare gli OGM. La nuova direttiva è un tentativo di addivenire ad un compromesso da parte dell’esecutivo comunitario, intenzionato a superare uno status quo che vede ancora solo il mais MON 810 di Monsanto nei campi del vecchio continente, a causa del ricorso alle clausole di salvaguardia da parte degli Stati membri.

In realtà, un buco normativo esisteva già, ricorda la professoressa Dobbs: in base alle regole che impongono una maggioranza qualificata al Consiglio europeo (nonostante un numero di Stati membri superiori alla media fosse sempre contrario alla coltivazione di OGM) non si è mai riusciti a vietarne la coltivazione definitivamente, restando in una condizione di stallo. Così, come da regolamento, la palla tornava alla Commissione, per la quale valeva il silenzio assenso previo parere positivo dell’EFSA. L’agenzia europea per la sicurezza alimentare non ha mai bocciato un OGM. Così, alla maggioranza di governi decisi a impedire l’ingresso delle colture biotech, non restava che invocare la clausola di salvaguardia.

La Commissione ha iniziato a ritardare le autorizzazioni, avallando una moratoria de facto che è valsa all’Ue una condanna nel 2006 da parte del tribunale della WTO, adito dagli Stati Uniti. Su questo ritardo, ancora con una condanna, si è pronunciata anche la Corte di Giustizia europea, nel 2013.

 

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La nuova direttiva 2015/412 tenta di accontentare tutti: agli Stati più scettici, come l’Italia, rimarrebbe la libertà di scegliere il no alla coltivazione, mentre governi più entusiasti come quello spagnolo o britannico potrebbero aprire a colture non ancora autorizzate.

Il testo di legge consente agli Stati membri di richiedere l’esenzione totale (o delle restrizioni alla coltivazione) durante la fase di autorizzazione o rinnovo senza fornire motivazioni, a meno che la società produttrice non le richieda. Nel caso di colture già autorizzate, gli Stati membri possono imporre unilateralmente restrizioni se sono in grado dimostrare che queste sono «collegate a obiettivi della politica ambientale o agricola o ad altri fattori preminenti quali l’assetto territoriale urbano e rurale, la destinazione dei suoli, gli impatti socio-economici, la coesistenza e l’ordine pubblico».

La società e la Commissione europea, però, possono contestare la decisione e aprire un contenzioso.

«Può essere una causa difficile da vincere – spiega la docente irlandese, Mary Dobbs – Le giustificazioni per motivi di tutela ambientale ai sensi della direttiva sono limitate. E poiché le norme consentono solo restrizioni locali, è più difficile sostenere che sia giustificabile un veto per l’intero Paese».