(Rinnovabili.it) – «L’obiettivo dei 2°C può essere insufficiente per prevenire che l’Artico resti senza ghiaccio». È la conclusione a cui sono arrivati i ricercatori dell’università di Exeter dopo una revisione delle proiezioni statistiche sull’andamento dell’estensione della calotta polare. Secondo James Screen e Daniel Williamson, autori dello studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, il limite dei 2°C stabilito dall’Accordo di Parigi lascia ancora il 39% di possibilità che la coltre ghiacciata del Polo Nord scompaia del tutto durante l’estate artica. Al contrario, la calotta ha un’altissima probabilità di restare intatta se si prende a riferimento l’altro limite di riscaldamento globale concordato a Parigi, 1,5°C.
Il quadro tracciato dalle previsioni statistiche è a tutti gli effetti allarmante. E lo è ancora di più se si aggiunge all’equazione un altro dato che è impossibile ignorare: con i tagli attuali alle emissioni di gas serra decisi dai governi di tutto il mondo, gli obiettivi dell’accordo sul clima non sono affatto raggiungibili. Anzi. Se non cambiamo rotta, considerano gli scienziati, il trend attuale porterà ad un aumento della temperatura globale di ben 3°C. Di conseguenza la calotta artica si scioglierà del tutto ogni estate con una probabilità del 79%.
Passando dalla probabilità ai dati di fatto, la situazione appare più che compromessa. Proprio oggi il National Snow and Ice Data Center statunitense ha rilasciato i dati relativi al mese di febbraio, il culmine dell’inverno artico durante il quale la calotta polare si ricostituisce. I dati confermano ciò che gli scienziati temevano: l’Artico ha fatto segnare un nuovo record negativo. È il peggior febbraio di sempre, da quando 38 anni fa sono iniziate le rilevazioni satellitari, con un’estensione dei ghiacci di appena 14,28 milioni di kmq (40mila in meno di un anno fa), e ben 1,18 milioni di kmq in meno della media di riferimento 1981-2010. Le temperature infatti sono rimaste stabilmente dai 2 ai 5°C al di sopra della media stagionale. A spingere la colonnina di mercurio verso l’alto sono stati i venti caldi che hanno soffiato per gran parte dell’inverno sui mari di Barents e di Kara.