Una ricerca dell'Alfred Wegener Institute ha evidenziato la correlazione tra la perdita di ghiaccio dell'Artico e l'andamento irregolare delle cosiddette correnti a getto, flussi d'aria fredda che sempre più spesso si affacciano nelle zone temperate del globo.
Condizioni climatiche estreme come l’ondata di gelo che ha colpito il Nord America lo scorso inverno o la siccità in Europa nel 2018 potrebbero essere correlate al riscaldamento artico
(Rinnovabili.it) – Il surriscaldamento della calotta polare artica causa condizioni climatiche estreme, sia calde che fredde, nelle zone temperate della Terra: la conferma scientifica arriva da uno studio dell’Alfred Wegener Institute di Lipsia, in coordinazione con l’Helmholtz Centre for Polar and Marine Research pubblicato sulla rivista Nature.
I ricercatori sono riusciti a sviluppare un innovativo modello di previsione meteorologica che spiega l’andamento incostante e le incursioni al di sotto del circolo polare artico delle cosiddette correnti a getto, uno dei principali flussi d’aria fredda che caratterizza l’emisfero nord.
Le correnti a getto sono un gruppo di venti occidentali che si formano al di sopra delle latitudini medie e che spingono i principali sistemi meteorologici da ovest verso est: vengono alimentate dalla differenza di temperature tra l’Artico e i tropici, si formano a circa 10 km di altezza (appena sotto la tropopausa) e possono raggiungere velocità massime di 500 km orari.
Diversi studi avevano già osservato come le correnti a getto stiano assumendo sempre più frequentemente dei corsi tortuosi invece di procedere parallelamente alla linea dell’equatore: queste intrusioni di grandi ammassi ventosi provenienti dall’Artico sarebbero alla base di eventi estremi come la straordinaria ondata di gelo che ha colpito il Nord America lo scorso inverno, ma anche, quando il flusso si affievolisce troppo, di ondate di caldo e siccità come quelle che hanno attanagliato l’Europa nel 2003, nel 2005, nel 2006 e più recentemente nel 2015 e nel 2018.
Tali oscillazioni erano già note alla comunità scientifica, ma nessun modello di previsione riusciva a spiegare il fenomeno: i ricercatori dell’AWI sono riusciti a sviluppare un algoritmo di apprendimento automatico (una forma d’intelligenza artificiale) capace di rappresentare dinamicamente le reazioni chimiche dello strato di ozono e di inserirle all’interno di un modello climatico su scala globale. In questa maniera hanno potuto osservare le interazioni tra stratosfera e ozono e a prevedere le incursioni delle correnti a getto in zone temperate del globo.
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Le analisi condotte con il nuovo modello hanno individuato nella perdita di ghiacci artici uno dei principali fattori delle oscillazioni delle correnti a getto. La stratosfera polare diventa sempre più calda e viene ulteriormente riscaldata dall’ozono: l’aumento delle temperature rende instabili le correnti a getto, il cui corso è determinato dall’aria fredda proveniente dall’Artico. L’instabilità viene poi trasmessa anche alle fasce sottostanti dell’atmosfera causando condizioni climatiche estreme come quelle che ci stiamo abituando a vivere sempre più frequentemente.
“Il nostro studio dimostra che almeno parte dei cambiamenti nelle correnti a getto è dovuta alla perdita di ghiaccio nel Mare Artico – ha spiegato il professor Markus Rex, Direttore della ricerca presso l’AWI – Se la superficie ghiacciata dovesse continuare a diminuire prevediamo che aumenterà sia la frequenza che l’intensità di condizioni climatiche estreme alle latitudini temperate. La nostra ricerca dimostra che le sempre più frequenti ondate di freddo negli USA, in Europa e in Asia non sono assolutamente in contraddizione con il climate change, ma anzi sono parte di un cambiamento climatico determinato dall’uomo”.
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