La ricerca mostra come gli ecosistemi naturali siano la migliore strategia (a basso costo) per difendere le aree costiere dal climate change.
(Rinnovabili.it) – Secondo una ricerca dell’Università di Plymouth, in collaborazione con scienziati dell’Università di Utrecht e della Manchester Metropolitan University, le cosiddette comunità vegetali costiere sono un elemento cruciale per la difesa delle aree costiere dagli eventi meteorologici estremi scatenati dai cambiamenti climatici. Tuttavia, esse sono sempre più minacciate dall’attività antropica.
L’innalzamento del livello del mare e la maggiore frequenza e intensità di eventi estremi hanno un impatto molto visibile su spiagge, pareti rocciose e infrastrutture costiere. Questo impatto, però, potrebbe essere contrastato grazie all’uso di cosiddette nature-based solution (soluzioni basate sulla natura), vale a dire sfruttando le difese naturali dei litorali rappresentate da certi tipi di vegetazione. Lo studio, dunque, non solo esamina in che modo le minacce di alluvione ed erosione possono mettere in serio pericolo la vegetazione marina e le aree costiere, ma evidenzia anche il contributo di habitat come aree salmastre, foreste di mangrovie, dune si sabbia e letti di alghe alla protezione delle coste.
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Pubblicata sulla rivista Annals of Botany, la ricerca si ispira alla valutazione dell’IPCC sui cambiamenti climatici e l’azione antropica, in cui si mostra lo stretto legame tra il riscaldamento globale e le attività umane. Studiando gli ecosistemi costieri, è emerso che il costo per la protezione dall’innalzamento del livello del mare delle più grandi città costiere del mondo potrebbe essere pari a 50 miliardi di dollari entro il 2050. A fronte di questa enorme spesa, però, la vegetazione marina potrebbe offrire una protezione naturale contro l’erosione e le inondazioni delle aree costiere, con dei costi irrisori rispetto a quelli impiegati per la costruzione delle cosiddette “difese dure”, come i muri di cemento. Questo significa che gli ecosistemi possono essere integrati in una strategia dinamica (e a basso costo) di difesa dalle inondazioni per far fronte alle sempre crescenti sfide poste dall’innalzamento del livello del mare e dagli eventi estremi.
Lo studio, inoltre, invita biologi ed ecologi a lavorare a fianco alle comunità locali per identificare le specie e gli habitat chiave per la difesa delle aree costiere, trovando dei modi condivisi affinché queste possano essere protette. Fondamentale, infatti, è la necessità di sviluppare delle strategie di monitoraggio civico a lungo termine, per prevedere meglio dove e come tempeste e altri fenomeni dovuti dai cambiamenti climatici influenzano gli ecosistemi.
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“La consapevolezza che le costestanno affrontando un aumento delle minacce fornisce l’impulso per comprendere in che modo uragani, tifoni, cicloni e altri eventi meteorologici estremi possono influenzare la vegetazione costiera”, ha affermato Mick Hanley, professore all’Università di Plymouth, “questo è un aspetto fondamentale per garantire la gestione efficace del rischio nei prossimi decenni, ma sono necessari notevoli lavori per garantire il potere delle piante di difendere le nostre coste“.