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Antartide, al via la spedizione per studiare lo scioglimento del ghiacciaio Thwaites

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Foto di 358611 da Pixabay

Foche e leoni marini usati per capire l’aumento dei ritmi di scioglimento di uno dei ghiacciai più instabili del Pianeta

(Rinnovabili.it) – Al via una spedizione scientifica per studiare il ghiacciaio Thwaites in Antartide, una superficie estesa come la Gran Bretagna che, se dovesse sciogliersi, porterebbe un innalzamento delle acque mondiali fino a 80 cm.

La rompighiaccio battente bandiera americana Nathaniel B Palmer è partita dalle coste del Cile con a bordo un team di scienziati inglesi e statunitensi: entro le prossime settimane raggiungerà la regione ovest dell’Antartide, in prossimità del ghiacciaio Thwaites, considerato dagli esperti uno dei siti più a rischio scioglimento data la peculiare conformazione fisica.

Il Thwaites, infatti, si estende per buona parte direttamente sull’oceano e forma insieme al ghiacciaio di Pine Island il cosiddetto “ventre molle dell’Antartide”: al di sotto della massa ghiacciata si insinuano le acque marine che, sempre più calde, aumentano i ritmi di scioglimento del ghiacciaio, sbilanciando il rapporto tra neo formazioni e ghiaccio disciolto in mare.

Stando agli ultimi dati raccolti, ogni anno oltre 4km di ghiaccio nella linea di galleggiamento del Thwaites “scivolano” in mare mentre lo spessore complessivo si sta riducendo di 40 cm annui. Dati satellitari dimostrano che il solo Thwaites contribuisce per circa il 4% dell’innalzamento mondiale dei mari, una quota più che raddoppiata da quella registrata a metà degli anni ’90.

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I ricercatori della spedizione effettueranno raccolta dati ed esperimenti via mare, direttamente sul suolo ghiacciato e anche al di sotto di esso. Il team del professor Kelly Hogan reperirà campioni dal fondale oceanico per capire in quali maniere il ghiacciaio abbia risposto ai cambiamenti climatici nelle ultime migliaia d’anni. Persino la fauna del luogo contribuirà alle ricerche: leoni marini e foche verranno catturate e poi rilasciate in mare dopo essere stati dotati di rilevatori per osservare direttamente contesti impossibili da raggiungere per gli esseri umani, quali correnti sottomarine, habitat sub glaciale e anche zone inaccessibili dell’entroterra.

“Abbiamo grandi quantità di dati sugli ultimi 25 anni raccolti da satelliti e spedizioni scientifiche che hanno visitato la regione, ma abbiamo bisogno di estendere questi dati su una scala di secoli – ha spiegato alla BBC il professor Kelly Hogan – Molte persone pensano che quello cui stiamo assistendo sia un cambiamento dovuto all’azione dell’uomo e parlano della nostra era come di Antropocene, ma ancora non abbiamo tutti i tasselli della catena per poterlo affermare con certezza”.

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