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Basta allevamenti intensivi, una proposta di legge per rivoluzionare la zootecnia in Italia

Moratoria sui nuovi allevamenti e tetto ai capi per quelli esistenti. Un fondo dedicato per finanziare la conversione della zootecnia e accompagni le aziende più grandi verso un modello centrato sull’agro-ecologia. Riconoscendo il giusto prezzo ai più piccoli, a cui oggi arrivano solo le briciole dei sussidi PAC. È il perimetro della proposta di legge presentata alla Camera da Greenpeace Italia, ISDE – Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e WWF Italia

Allevamenti intensivi in Italia: proposta di legge per cambiare modello
Foto di Anja Bauermann su Unsplash

La pdl sugli allevamenti intensivi è appoggiata da deputati di Noi Moderati, AVS, PD e M5S

(Rinnovabili.it) – Un piano di riconversione del sistema zootecnico italiano. Finanziato da un nuovo fondo dedicato. Che metta al centro le piccole aziende e incoraggi la transizione verso un modello diverso da quello degli allevamenti intensivi. Anche attraverso una moratoria immediata all’apertura di nuovi allevamenti di questo tipo e all’aumento del numero di capi allevati in quelli già esistenti. È il perimetro della proposta di legge presentata oggi alla Camera da Greenpeace Italia, ISDE – Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e WWF Italia, con la partecipazione di parlamentari di Noi Moderati, Alleanza Verdi Sinistra, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle.

Allevamenti intensivi, un modello che pesa su clima e ambiente

Un modello, quello degli allevamenti intensivi, che pesa molto – strutturalmente –  su ambiente, clima e salute. E non sta neppure facendo la sua parte nella transizione ecologica. Il sistema zootecnico è responsabile di oltre 2/3 delle emissioni italiane di ammoniaca e “ha conseguenze dirette sulla salute umana, specie per quanto concerne le emissioni di polveri sottili”, rileva la proposta di legge. Rivoluzionare il sistema zootecnico nazionale permetterebbe anche di rispettare la direttiva NEC che impegna l’Italia a diminuire, a partire dal 2030, le emissioni di ammoniaca del 16% e quelle di PM2.5 del 40% rispetto ai livelli del 2005. E di rientrare dalla procedura di infrazione sulla direttiva Nitrati.

C’è poi il tema dell’uso di risorse e il conflitto con l’alimentazione umana. Gli allevamenti intensivi in Italia interessano 700 milioni di capi l’anno, numeri che drenano risorse destinate al consumo diretto umano. Non è una situazione solo italiana ovviamente. Due terzi dei cereali commercializzati nell’UE diventano mangime e circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale, principalmente a coltivazioni come il mais. Che richiede grandi volumi di acqua e quindi aggrava la scarsità idrica.

Riconvertire la zootecnia italiana è anche un tema legato all’iniquità della politica agricola comune (PAC). Uno dei veri punti deboli del sistema europeo, infatti, è la distribuzione dei sussidi: l’80% finisce alle grandi aziende agricole, cosa che svantaggia le piccole aziende che non usano metodi intensivi. E spariscono a ritmo accelerato: tra 2004 e 2016 hanno chiuso i battenti in 320 mila piccole aziende (-38%), mentre quelle grandi e molto grandi sono cresciute del 23 e 21%.

“La nostra proposta si rivolge ai soggetti istituzionali, economici e sociali, affinché tutte le parti siano impegnate per garantire la piena tutela dell’ambiente, della salute pubblica e dei lavoratori”, dichiarano le associazioni. “Si tratta di una normativa che offre agli allevatori, soprattutto ai più piccoli, costretti a produrre sempre di più con margini di guadagno sempre più bassi, una via d’uscita che tuteli il nostro futuro e quello del pianeta. Proponiamo un piano nazionale basato su un adeguato sostegno pubblico per la riconversione in chiave agro-ecologica degli allevamenti intensivi”.