Dall’associazione ambientalista un documento di pratiche eco-orientate per rendere il comparto zootecnico meno pressante sull’equilibrito terrestre
Secondo la relazione i principali impatti della produzione di bestiame hanno profondi effetti sul cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la modificazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo e i cambiamenti nell’utilizzo del suolo, e nei primi tre il comparto ha già comportato il superamento di livelli di stress accettabili. La risposta a questi problemi risiede secondo l’associazione ambientalista in pratiche di allevamento che si basino sull’ottimizzazione ecologica, quell’approccio che lavora con il potenziale e i vincoli del sistema in termini di effetti su risorse e capacità di assimilazione dei rifiuti. Il modo di rendere operativo questo principio è quello di sviluppare una “rigenerazione dei sistemi agricoli che continuamente ricreino le risorse utilizzate raggiungendo una maggiore produttività e redditività del sistema (non necessariamente dei singoli prodotti) con il minimo input esterno (compresa l’energia)” (Hoffman 2011). Questo vuol dire riconoscere e ottimizzare tutti i servizi ecosistemici che fornisce un paesaggio – non solo la produzione agricola, ma anche di filtrazione dell’acqua, ciclo dei nutrienti, l’assorbimento del carbonio e altre funzioni.
Tra le raccomandazioni riportate dal rapporto c’è anche quella di “non è di evitare del tutto carne e prodotti lattiero-caseari, ma di consumarne livelli decisamente più bassi risultanti ottimali sia per la salute umana che per quella del nostro pianeta. Questa raccomandazione è particolarmente importante per le persone delle società ad alto reddito, dove i bisogni nutrizionali possono essere facilmente soddisfatti per lo più con alimenti vegetali”.