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L’Indonesia paga gli aerei da guerra con l’olio di palma

olio di palma

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Le nuove strategie dei produttori di olio di palma

 

(Rinnovabili.it) – Continuare a vendere, senza perdere nemmeno un dollaro di esportazioni, a costo di trovare i canali più impensabili. È il mantra dei principali produttori globali di olio di palma, che stanno esplorando nuovi mercati per superare l’impasse causato dalle ultime decisioni del loro secondo importatore: l’Unione Europea. L’ultima trovata di Jakarta è utilizzare la materia prima come moneta di scambio in un’operazione da 1,4 miliardi di dollari che prevede l’acquisto di 11 jet Sukhoi dall’azienda russa Rostec. Il direttore esecutivo dell’associazione dell’olio vegetale indonesiano, Sahat Sinaga, ha dichiarato che i produttori di olio di palma apriranno una società di marketing in Russia, con l’obiettivo di aumentare le esportazioni – pari a 920 mila tonnellate nel 2016 – del 4-5% l’anno fino al 2023. In Pakistan, il gruppo sta progettando di aprire un impianto di stoccaggio per l’importazione di 1-2 milioni di tonnellate l’anno, anticipando un’ulteriore crescita della domanda.

Queste manovre sono parte di una strategia utilizzata anche nei negoziati commerciali che il paese sta portando avanti con l’Africa: il Ministro del Commercio indonesiano, Enggartiasto Lukita, ha proposto alla Nigeria di scambiare petrolio con olio vegetale. Dal canto suo, la Malesia non resta alla finestra: il Malaysian Palm Oil Council (MPOC) annuncia che aumenterà gli sforzi per entrare in nuovi mercati come Myanmar, Filippine e Africa occidentale. Il problema dell’olio malese è che i costi di produzione sono circa il 15% più alti che in Indonesia, fatto che al momento rappresenta uno svantaggio competitivo nella corsa a convincere paesi più sensibili ai prezzi come quelli in via di sviluppo. Tuttavia, Kualalumpur riesce ad esportare il 90% del prodotto, mentre Jackarta – pur con volumi maggiori – arriva al 70%. I due paesi dominano di gran lunga il mercato mondiale del settore, che vale complessivamente circa 40 miliardi di dollari.

 

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Il boom della domanda ha diffuso piantagioni di palma da olio, tra Indonesia e Malesia, su un’area di oltre 17 milioni di ettari, sottratti per lo più intagliati alle foreste pluviali, con effetti devastanti sul riscaldamento globale e la biodiversità. Dopo anni con la benda sugli occhi, l’UE si è accorta che promuovere il commercio e il consumo di questa materia prima sta provocando una serie di effetti ambientali non più trascurabili, ma è anche causa di violazioni sistematiche dei diritti umani e delle convenzioni internazionali sul lavoro. Gli attivisti ambientali hanno fatto pressione sui consumatori per ottenere che le aziende impongano ai fornitori pratiche più sostenibili dal punto di vista ecologico. Ma si tratta finora di un esperimento fallito, perché gli standard dell’industria sulla sostenibilità non sono abbastanza ambiziosi.

olio di palmaLa scorsa primavera il Parlamento Europeo ha dunque chiesto alla Commissione di eliminare entro il 2020 i biocarburanti a base di olio di palma, considerati un combustibile più inquinante di benzina e gasolio. Un colpo al cuore per i paesi leader nella produzione, che vedono nell’Europa un partner difficile da sostituire: l’Indonesia ha esportato 4,37 milioni di tonnellate di olio di palma verso i paesi UE lo scorso anno, secondo i dati della Palm Oil Association indonesiana (Gapki), mentre la l’export malese ha raggiunto le 2,06 milioni di tonnellate.

Anche gli stati membri si sono mossi: la Francia ha dichiarato a luglio che ridurrà l’uso dell’olio vegetale nei biocarburanti, mentre in Germania il Ministro dell’ambiente ha affermato che lavorerà per modificare la direttiva sulle energie rinnovabili dell’UE. La norma, ha sottolineato, dovrà tener conto delle più elevate emissioni per unità energetica dell’olio di palma rispetto ai combustibili fossili, calcolando i gas serra liberati con i cambiamenti di uso del suolo.

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