La tutela degli oceani è un tassello importante per gestire la crisi climatica
(Rinnovabili.it) – Nella girandola di annunci che hanno riempito i primi giorni della COP26 c’è un’assenza importante: gli oceani. Sono pochi i paesi che hanno citato questo tema – spesso solo in chiave di aumento del livello dei mari – e sono ancor meno quelli che hanno promesso qualcosa o lanciato iniziative. Eppure, anche se fuori dai radar del summit sul clima di Glasgow, la tutela degli oceani è un tassello importante della gestione della crisi climatica.
Il ruolo degli oceani
Oggi i mari sono più caldi, più acidi e meno produttivi. Gli oceani sono una grande camera di compensazione: assorbono il 90% del calore in eccesso nel sistema climatico, quindi senza questo strumento tampone il riscaldamento globale sarebbe già a livelli altissimi.
Nel processo, però, si riscaldano le acque: questo riduce la miscelazione degli strati di acqua marina, che a sua volta significa meno sostanze nutritive e meno ossigeno. Inoltre, dagli anni ’80 a oggi gli oceani hanno assorbito il 20-30% delle emissioni antropogeniche di CO2, con la conseguenza di alterare molto il loro ph. Risultato: profondi cambiamenti nella distribuzione e nell’abbondanza della vita marina.
Senza tutela degli oceani, ci dobbiamo aspettare che questi cambiamenti abbiano un impatto profondo sull’uomo. Gli oceani producono il 50% dell’ossigeno che respiriamo, ospitano la maggior parte della biodiversità del pianeta, e costituiscono la principale fonte di proteine per oltre un miliardo di persone in tutto il mondo. Già oggi il 90% delle popolazioni ittiche risulta a collasso e si stima che entro metà secolo in mare ci sarà più plastica che pesci.
La tutela degli oceani alla COP26
Nonostante tutto questo, a Glasgow finora il tema non sta tenendo banco, è scavalcato da altri dossier come la riduzione delle emissioni di metano, la finanza climatica e la lotta alla deforestazione. Eppure, secondo molti esperti stiamo sottostimando la quantità di emissioni prodotte dalle attività umane connesse con i mari.
“Attualmente stiamo gravemente sottovalutando le emissioni di carbonio che derivano dalle attività umane nell’oceano. Cose come la pesca a strascico delle flotte da pesca, attività che disturbano i fondali marini. Dobbiamo includere gli oceani nel modo in cui contabilizziamo le emissioni e l’inquinamento”, spiegava ieri a Reuters Dawn Wright, uno scienziato che lavora per ESRI. La COP26 potrebbe rimediare, ma finora non dà segni di voler andare in questa direzione.
L’iniziativa principale è l’High Level Panel for a Sustainable Ocean Economy (Ocean Panel), una piattaforma che ha l’obiettivo di coordinare e promuovere metodi di gestione sostenibile, ma solo delle acque territoriali. Con l’adesione degli Stati Uniti di ieri i membri sono saliti a 15 e rappresentano il 40% delle coste mondiali, un terzo delle zone economiche esclusive e il 20% delle flotte di pescherecci. Iniziativa che mostra tutti i suoi limiti: non sta toccando i generosi sussidi alla pesca – spesso insostenibile – che sta mettendo a rischio gli stock ittici un po’ ovunque.
Ci sono stati poi altri annunci, ma sporadici e non capaci di un impatto globale. Peraltro, tutti concentrati in America Latina. La Colombia, ad esempio, ha allargato di 16 milioni di ettari l’area marina protetta nelle sue acque, raggiungendo l’obiettivo con 8 anni di anticipo. L’Ecuador ha aumentato del 50% l’area protetta delle Galapagos, che passa così da 130mila a 190mila km2. Questi due paesi, insieme a Costa Rica e Panama, uniranno le loro riserve marine per creare un vasto corridoio protetto nell’Oceano Pacifico. Lo scopo è proteggere tartarughe marine, tonni, calamari, squali martello e altre specie. (lm)