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Con i cambiamenti climatici sarà più difficile prevedere le risorse idriche disponibili

Uno studio del National Center for Atmospheric Research (NCAR) sostiene che il calo del manto nevoso dovuto ai cambiamenti climatici determinerà maggiore variabilità nel flusso delle risorse idriche, rendendo complicato riuscire a prevederlo.

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Foto di Myriams-Fotos da Pixabay

(Rinnovabili.it) – Nelle regioni dell’emisfero settentrionale del Pianeta la quantità di risorse idriche disponibili diverrà sempre meno prevedibile nei prossimi decenni. Tra gli effetti del riscaldamento globale, infatti, c’è anche lo scioglimento del manto nevoso da cui deriva la possibilità, in genere, di prevedere la quantità e i flussi di acqua a disposizione nei periodi prossimi. 

Lo studio globale sui cambiamenti climatici, condotto dal National Center for Atmospheric Research (NCAR), è stato finanziato dalla U.S. National Science Foundation: tra gli effetti del prossimo futuro è menzionata l’imprevedibilità dei flussi di risorse idriche, che riguarderà anche le regioni che riceveranno la stessa quota di precipitazioni attuale. 

“I sistemi di gestione dell’acqua nelle regioni innevate si basano sulla prevedibilità del manto nevoso e del deflusso, e gran parte di tale prevedibilità potrebbe andare via con il cambiamento climatico”, ha detto lo scienziato del NCAR Will Wieder, autore principale dello studio. “I gestori dell’acqua saranno al capriccio di singoli eventi precipitazioni invece di avere quattro-sei mesi di tempo per anticipare lo scioglimento della neve e deflusso”.

Molte aree del Pianeta infatti dipendono dall’accumulo invernale di neve e dallo scioglimento di quest’ultima a primavera: dalla quantità di neve è possibile prevedere flusso e deflusso di risorse idriche. Con la scomparsa della neve la quantità di acqua a disposizione sarà sempre più legata a eventi atmosferici episodici di pioggia. E la situazione degenererà entro la fine del secolo. Secondo la ricerca infatti le risorse idriche generate dal manto nevoso delle Montagne Rocciose negli Stati Uniti potrebbe diminuire fino all’80%. 

Lo studio mette inoltre in guardia per gli impatti sugli ecosistemi che il fenomeno, insieme ai cambiamenti di deflussi e mareggiate, potrà avere. La minore quantità di neve e stagioni calde più lunghe potranno prosciugare i terreni di molte aree, fenomeno che è già – e sarà sempre di più – accompagnato dal rischio di incendi. 

Bisogna interrompere gli attuali ritmi, subito

Dalle indagini è risultato che, mantenendo gli attuali trend emissivi, entro il 2100 nell’emisfero Nord del pianeta ci sarà una media di 45 giorni di neve in più all’anno, soprattutto alle latitudini medie: nelle regioni marittime relativamente calde o nelle latitudini alte, influenzate dal ghiaccio marino. Tra le regioni che potranno contare meno sulla possibilità di prevedere le risorse idriche a disposizione, la ricerca cita le Montagne Rocciose negli USA, l’Artico canadese, il Nord America orientale e l’Europa orientale. 

“Stiamo cercando di migliorare le nostre previsioni attraverso dati migliori, modelli e comprensione fisica, ma questi sforzi sono stati annullati dalla rapida scomparsa del nostro miglior fattore di predizione: la neve,” ha dichiarato Flavio Lehner, professore di scienze della terra e dell’atmosfera alla Cornell University e coautore dello studio.