Nel 2022 l’output idroelettrico sul totale nazionale è crollato al valore più basso dagli anni ‘50
(Rinnovabili.it) – Nel 2022 l’impatto della scarsità idrica ha fatto precipitare la generazione di energia idroelettrica al valore più basso dagli anni ’50. Rispetto al 15-20% degli ultimi anni, il dato è sceso ad appena il 10% della generazione elettrica nazionale. Cosa ci dobbiamo aspettare per il 2023? I mesi estivi rappresentano un nuovo rischio siccità per l’energia in Italia? E per i prossimi anni, quali sono le prospettive alla luce del cambiamento climatico e quali le contromisure che possiamo adottare? A queste domande prova a rispondere un rapporto di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) uscito di recente.
Le prospettive per il 2023
Nonostante le piogge abbondanti che sono cadute a maggio, il bilancio idrico del paese è ancora nettamente in rosso. La primavera non ha scacciato lo spettro della siccità, anche se ha permesso all’agricoltura di respirare (ma al prezzo di eventi estremi come la terribile alluvione in Romagna e la connessa attivazione di centinaia di frane sull’Appennino romagnolo).
D’altronde “l’alternanza di tali fenomeni di segno opposto, quali l’innevamento ai minimi storici nei primi mesi 2023 e la recente alluvione in Emilia-Romagna, sono il tratto più evidente del cambiamento climatico”, sottolinea CDP. Proprio la mancanza di neve – cioè l’acqua di domani – non permette di dichiarare superata la fase di siccità. L’inverno è stato più secco e con meno precipitazioni, anche se non ai livelli dell’anno scorso. Così, all’inizio della primavera il deficit idrico nivale – quanta acqua stoccata sotto forma di neve manca in montagna rispetto alla norma – segnava -64% rispetto alla media degli ultimi 12 anni. Le piogge dei mesi successivi hanno sì risollevato la situazione, ma di poco: a inizio giugno il deficit permaneva ancora a -49%.
Le dimensioni del rischio siccità per l’energia in Italia
Ciò che dovrebbe preoccupare di più, però, non è la performance dell’idroelettrico quest’anno, dopo il tonfo di -17 TWh nel 2022 (peggior risultato in Europa), bensì l’impatto della scarsità d’acqua in futuro sulla transizione energetica nel suo complesso, avverte CDP. Esiste un rischio siccità per l’energia in Italia a cui bisogna porre rimedio fin da ora.
È a rischio la sicurezza del sistema “a causa di una minor produzione di energia idroelettrica e la potenziale interruzione di parte della produzione termoelettrica”. Ma è a rischio anche il processo di transizione, perché “richiede lo sviluppo di alcune tecnologie a basse emissioni di carbonio particolarmente water-intensive”. Anche le soluzioni alternative alla scarsità idrica hanno aspetti problematici. Le tecnologie di dissalazione oggi disponibili – e rilanciate quest’anno con il Decreto Siccità – sono ad alta intensità d’energia.
D’altro canto, sappiamo che nei prossimi decenni l’Italia si troverà a fare i conti con una risorsa idrica sempre più scarsa. Il numero di giorni con insufficienti risorse idriche, nell’Europa meridionale, dovrebbe riguardare il 18 e il 54% della popolazione nel caso di un aumento della temperatura globale, rispettivamente, di 1,5 e 2°C. Solo in Italia, dal 2000 a oggi, il costo della siccità è stimato in 20 mld di euro. E se la disponibilità cala, la richiesta aumenterà: al 2050 si prevede che possa essere doppia o addirittura tripla rispetto a oggi.
Che fare?
Una soluzione a cui mettere subito mano è rimodulare la capacità di stoccaggio della risorsa idrica. Bisogna “riorganizzare in modo ottimale il sistema dello stoccaggio dell’acqua” e puntare soprattutto sui “potenziamenti infrastrutturali”. L’Italia, nota CDP, ha la stessa capacità di invaso che aveva mezzo secolo fa, ma con un fabbisogno ed un consumo che sono aumentati: “Il 58% delle 531 grandi dighe di cui disponiamo (con 309 invasi ad uso energetico) ha un’età media pari a 65 anni (per gli impianti idroelettrici si raggiungono i 75 anni) e un volume reale di invaso del 35% inferiore al volume invasabile (14 miliardi di metri cubi)”.
Tra le priorità, interventi per evitare l’interrimento dei bacini (l’accumulo di depositi trasportati dai fiumi che ne riduce il volume). Sui circa 13,6 miliardi di m3 di capacità teorica di volumi di acqua invasabile, 4 miliardi di m3 si stima siano resi inutilizzabili dai depositi interrati: “quasi un terzo della capacità di acqua invasabile è costituito da sedimenti”, sottolinea il rapporto.
Poi c’è da ragionare in modo integrato sul nesso tra acqua ed energia. Non solo per quanto riguarda l’idroelettrico. La siccità, l’anno scorso, ha costretto allo stop diverse centrali termoelettriche in val Padana. La Francia ha visto un crollo dell’output nucleare anche a causa della scarsità d’acqua ed è stata costretta a importare energia. Quindi bisogna “adottare misure per migliorare l’efficienza delle centrali elettriche, implementare sistemi di raffreddamento avanzati e assicurare un uso migliore dell’acqua non dolce, aumentando il riciclo e il riuso”, suggerisce CDP.
Per condurre questi ammodernamenti e ridurre il rischio siccità per l’energia in Italia servono investimenti. Qui dovrebbe intervenire la politica per creare condizioni favorevoli ad attirare i capitali necessari. Come? Attraverso “la garanzia di un orizzonte temporale adeguato agli investimenti, attraverso lo sblocco delle concessioni di grande derivazione idroelettrica, la cui disciplina è da tempo in corso di revisione”, semplificando il permitting sugli impianti esistenti, riducendo l’opposizione a livello locale attraverso un maggior coinvolgimento della popolazione e più trasparenza.