È “prematuro e imprudente” sviluppare su scala commerciale iniziative come lo sviluppo delle foreste di mangrovia o la coltivazione di alghe e di molluschi. Danno benefici alla biodiversità ma non sono efficaci come propagandato per la rimozione di anidride carbonica
La rimozione di CO2 dall’oceano rischia di essere un “vicolo cieco”
Far partire progetti su scala commerciale di rimozione di CO2 dall’oceano è “prematuro e imprudente”. Tutti gli approcci più maturi proposti finora, alla prova dei fatti, si basano su una comprensione limitata del funzionamento del ciclo del carbonio negli oceani. Il rischio è di convogliare risorse su queste tecniche di rimozione del carbonio (CDR), meno soggette a limiti e controlli rispetto a quelle basate sugli ecosistemi terrestri, senza ottenere alcun beneficio in termini di riduzione dei gas serra. È l’avvertimento lanciato da un gruppo internazionale di ricercatori coordinati dall’università dell’East Anglia in un articolo apparso su Environmental Research Letters.
Rimozione CO2 dall’oceano, cosa non funziona?
Quali sono i problemi? Lo studio passa al vaglio quattro tecniche nature-based che agiscono sull’oceano e sono sempre più promosse come soluzioni concrete e praticabili per la mitigazione della crisi climatica. Dalla coltivazione di molluschi all’allevamento di alghe, dallo sviluppo del “carbonio blu” nelle aree costiere attraverso fanerogame marine, paludi salmastre e mangrovie all’aumento delle popolazioni di balene. Mentre tutte queste soluzioni sono efficaci per il ripristino della biodiversità marina, il loro apporto in termini di rimozione di CO2 dall’oceano è più incerto. Sia per l’efficacia nel sequestrare la CO2 disciolta nelle masse oceaniche, sia per la stabilità degli stock sequestrati e quindi la durata dei benefici ottenuti. Sia, ancora, per gli effetti collaterali indesiderati, tra cui un aumento dei flussi di CO2 dall’oceano in atmosfera.
“Coloro che sostengono questi approcci non hanno prestato sufficiente attenzione ai vincoli fondamentali relativi al funzionamento degli ecosistemi e al ciclo del carbonio oceanico, ignorando ad esempio i numerosi processi che restituiscono CO2 all’atmosfera, così come le sfide dell’implementazione su scala climaticamente significativa, l’(in)sicurezza dello stoccaggio del carbonio e le numerose difficoltà nella quantificazione affidabile dei benefici climatici”, sottolinea Philip Boyd, prima firma dello studio.
In poche parole, espandere queste tecniche di rimozione della CO2 e propagandarle come efficaci non sarebbe altro che puro “greenwashing”. Senza calcolare che convogliare risorse in questi ambiti significa sottrarne ad altri, sia per la riduzione delle emissioni alla fonte, sia per la cattura della CO2, che hanno ben altri standard di sicurezza, sostenibilità, durabilità nel tempo e scalabilità.