Rinnovabili • Pesca a strascico: ancora permessa nel 90% delle aree protette Rinnovabili • Pesca a strascico: ancora permessa nel 90% delle aree protette

L’Europa ha un problema con la pesca a strascico

Dal 2015 a oggi, solo nei paesi affacciati su Atlantico e mare del Nord, i pescherecci che usano reti a strascico hanno potuto lavorare per 4,4 milioni di ore (l’equivalente di 500 anni) all’interno di aree marine protette. Colpite 9 zone Natura 2000 protette su 10, con questa pratica che ha toccato il 38% della loro superficie

Pesca a strascico: ancora permessa nel 90% delle aree protette
Foto di Federico Burgalassi su Unsplash

Lo stato della pesca a strascico in UE nel rapporto dell’ong Oceana

(Rinnovabili.it) – L’Europa permette ancora di usare metodi distruttivi come la pesca a strascico nel 90% delle sue aree marine protette, soprattutto al largo della costa atlantica e nel mare del Nord. Sono siti Natura 2000 tutelati dalla direttiva Habitat. Solo sulla carta. Nella realtà solo “pochissimi siti” hanno davvero dei piani di gestione o prevedono delle misure per dare una protezione “reale” agli habitat marini e alle specie che li popolano. E i nuovi obblighi introdotti a febbraio 2023 con il Piano d’azione per l’ambiente marino dell’UE sono in gran parte disattesi.

È una “tragedia silenziosa decennale che colpisce i mari e i pescatori dell’UE”, spiega Nicolas Fournier, campaign director dell’ong Oceana, che ha pubblicato il 16 aprile un rapporto sulla pesca a strascico in Europa. La maggior parte dei paesi, precisa, “sta ignorando impunemente le leggi sulla natura dell’UE, consentendo le pratiche di pesca più distruttive nelle acque più sensibili e protette”.

4,4 milioni di ore di pesca a strascico in 8 anni

Grazie ai dati raccolti da Global Fishing Watch, l’ong è riuscita a ricostruire chi usa questo metodo di pesca, dove e per quanto tempo. L’analisi si concentra su 7 paesi – Danimarca, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia – e rivela che tra il 2015 e il 2023 questi stati hanno permesso la pesca a strascico nelle aree marine protette per un totale di 4,4 milioni di ore, equivalenti a oltre 500 anni. La peggiore in classifica è l’Olanda, che da sola copre quasi metà del monte ore totale con 2,1 milioni di ore. La seguono Germania, Danimarca e Spagna. In definitiva, questa pratica di pesca ha toccato il 90% delle aree marine protette riconosciute dall’UE e il 38% della loro superficie totale.

Poca trasparenza sulle misure per limitare il bottom trawling

Di fronte a questo scenario, già noto ma di cui ora si ha un’idea precisa della dimensione grazie ai dati di Oceana, Bruxelles è corsa ai ripari. A febbraio dell’anno scorso l’UE ha approvato il Marine Action Plan che prevede, tra le altre cose, che i Ventisette definiscano delle tabelle di marcia nazionali per vietare la pesca a strascico nelle aree protette, dando la priorità a quelle con fondali marini ecologicamente più importanti. Tutto questo entro la fine del 2024. Mentre i piani devono essere ampliati a tutte le zone protette entro il 2030. “È scaduto il primo termine per presentare le tabelle di marcia nazionali il 31 marzo, ma finora solo pochi paesi dell’UE li hanno presentati”, sottolinea il rapporto.

La pesca a strascico è uno dei metodi più distruttivi. Degrada gli ecosistemi, incluse le specie marine che vivono sui fondali. Aumenta il rilascio di carbonio stoccato nei fondali marini. Secondo uno studio pubblicato lo scorso gennaio, ogni anno in tutto il mondo vengono “arati” 4,9 milioni di km2 di fondali, cioè l’1,3% di tutti i fondali al mondo. Un’area grande come mezza Europa. Lo studio ricalcolava anche le emissioni che ne derivano grazie a una nuova metodologia, concludendo che sono 370 milioni di tonnellate di CO2 in più di quelle note finora.

Questa pratica di pesca ha anche livelli molto elevati di pescato involontario e rigettato a mare. “Il 92% di tutto il pesce rigettato nell’UE proviene da catture effettuate con reti a strascico”, nota Oceana. “Ciò ha un impatto negativo sia sulla sostenibilità delle popolazioni ittiche che sull’industria della pesca stessa, in particolare sui pescatori di piccola scala e a basso impatto che rappresentano l’80% della flotta europea attiva e il 50% dei posti di lavoro nel settore”, aggiunge l’ong nel rapporto preparato insieme a Marine Conservation Society e Seas At Risk.

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