Secondo un nuovo studio basato sulle proiezioni calcolate grazie ai modelli climatici, attorno al 2021 si innesca in modo chiaro il processo che porta a una perdita di ossigeno nelle zone mesopelagiche, cioè lo strato a 200-1000 m di profondità dove vivono la maggior parte delle specie ittiche pescate
Non è chiaro se il processo verso oceani senza ossigeno sia reversibile su scala temporale umana
(Rinnovabili.it) – Il 2021 potrebbe diventare l’anno in cui i mari del pianeta hanno toccato e superato un punto di non ritorno. L’anno in cui i processi che portano ad oceani senza ossigeno sono diventati potenzialmente irreversibili. Non l’intera massa d’acqua, solo uno strato. Ma uno strato molto importante, quello di media profondità che va dai 200 ai 1.000 metri sotto la superficie: è quello che sostiene gran parte delle specie pescate del mondo.
Dall’anno scorso il ritmo di deossigenazione di questa parte di oceano, nota come zona mesopelagica, avrebbe accelerato in modo consistente, rileva uno studio pubblicato su Geophysical Research Letters. La ricerca si basa su proiezioni e non su nuovi dati reali, facendo uso di modelli climatici per stabilire l’andamento dell’ossigenazione nei diversi strati oceanici nei prossimi decenni.
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Ma i modelli collocano proprio attorno al 2021, con un margine d’errore di 4 anni prima o dopo, il momento in cui segnali importanti di ipossia o anossia iniziano a emergere globalmente in questa fascia di profondità. In quella superiore non si rileveranno impatti fino al 2043 (±7 anni), mentre in quella inferiore il tornante è il 2030 ma, con un margine d’errore di 9 anni, si potrebbero iniziare a registrare segnali anche per le profondità oceaniche. Le proiezioni fissano al 2080 la data in cui almeno il 70% dei mari potrebbe essere costituito da oceani senza ossigeno.
La perdita di ossigeno nei mari è dovuta all’aumento della temperatura causato dal riscaldamento globale. Mari più caldi sono meno in grado di stoccare ossigeno. Un processo che è in corso e che potrebbe essere anche irreversibile su una scala temporale umana, sottolineano gli autori.
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“Le zone di minimo di ossigeno si stanno effettivamente diffondendo in aree ad alta latitudine, sia a nord che a sud. Questo è qualcosa a cui dobbiamo prestare più attenzione”, spiega Yuntao Zhou, coautore della ricerca. Anche se rallentassimo la corsa del riscaldamento globale, lo bloccassimo alla soglia stabilita dall’accordo di Parigi, o lo invertissimo permettendo così alle concentrazioni di ossigeno disciolto di aumentare, “se l’ossigeno disciolto tornerebbe ai livelli pre-industriali rimane sconosciuto”.