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La globalizzazione mette a rischio acqua, energia e risorse naturali

Uno studio dell’università di Cambridge sui pericoli che corrono i diversi Paesi e i settori industriali che sono altamente esposti, direttamente e indirettamente, a un sovrasfruttamento delle risorse. Il rischio maggiore è dovuto al commercio internazionale, soprattutto da Paesi remoti

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – Colpa della globalizzazione, se acqua, energia e risorse naturali sono a rischio. Uno studio (testo in inglese) su larga scala mette in evidenza i pericoli che corrono i diversi Paesi sulle risorse idriche, energetiche e naturali a causa della globalizzazione. I ricercatori dell’Università di Cambridge partono dall’assunto che le Nazioni del Pianeta soddisfano le loro esigenze di beni e servizi attraverso la produzione interna e naturalmente il commercio internazionale; la conseguenza è che viene esercitata una pressione sulle risorse naturali sia all’interno che all’esterno dei propri confini.

In base ai dati macroeconomici utilizzati ne emerge che la stragrande maggioranza dei Paesi, e dei settori industriali, è altamente esposta sia direttamente con la produzione interna sia indirettamente con le importazioni a un sovrasfruttamento delle risorse. Il rischio maggiore per le risorse – è stato scoperto – è dovuto al commercio internazionale, soprattutto da Paesi remoti.

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Lo studio contempla anche un invito alla riflessione sulla compatibilità della globalizzazione con il raggiungimento di catene di approvvigionamento sostenibili e resilienti. Negli ultimi decenni l’economia mondiale è diventata altamente interconnessa; non è raro che ogni componente di un particolare prodotto provenga da un Paese diverso. Per molti economisti tradizionali questo offre una fonte di vantaggio competitivo e potenziale di crescita. Tuttavia, molte nazioni impongono richieste a risorse già sottoposte a stress in altri Paesi soltanto per soddisfare i propri elevati livelli di consumo. Questa interconnessione aumenta anche la quantità di rischio in ogni fase della catena di approvvigionamento globale. I ricercatori hanno provato a quantificare l’uso globale di acqua, terra ed energia di 189 Paesi e hanno dimostrato che chi dipende di più dal commercio è potenzialmente più a rischio per l’insicurezza delle risorse, soprattutto per via dei cambiamenti climatici.

“Abbiamo scoperto che il ruolo del commercio è stato ampiamente sottovalutato come fonte di insicurezza delle risorse – ha detto Oliver Taherzadeh, alla guida della ricerca da dottorato al dipartimento di Geografia di Cambridge – in realtà è una fonte di rischio maggiore rispetto alla produzione nazionale. Questo tipo di analisi non è stato effettuato prima per un gran numero di Paesi. Quantificando le pressioni che il nostro consumo esercita sulle risorse idriche, energetiche e naturali negli angoli più remoti del mondo, possiamo anche determinare quanti pericoli si trovano di fronte a noi”.

In base a questi risultati, i Paesi con grandi economie come gli Stati Uniti, la Cina e il Giappone sono altamente esposti alla carenza di acqua al di fuori dei propri confini. Mentre molti Paesi dell’Africa subsahariana come il Kenya in realtà affrontano molti meno rischi dal momento che non sono così collegati in rete nell’economia globale. I ricercatori hanno anche esaminato i rischi associati a settori specifici. E sorprendentemente, uno di quelli identificati con il più alto rischio di utilizzo dell’acqua e del suolo, dell’1% più alto di quasi 15mila settori analizzati, è la produzione di alimenti per cani e gatti negli Stati Uniti.

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“Per quanto gravi siano state le conseguenze dirette e indirette di Covid-19 – ha affermato Taherzadeh – il crollo del clima, il collasso della biodiversità e l’insicurezza delle risorse sono problemi molto meno prevedibili da gestire e le potenziali conseguenze sono molto più gravi. Se la ripresa economica verde vuole rispondere a queste sfide, dobbiamo ripensare radicalmente le dimensioni e la fonte dei consumi”.