Rapporto Unesco in occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2021
(Rinnovabili.it) – Immaginate di trovarvi nel bel mezzo di una pandemia, di sentirvi ripetere in 100 lingue diverse ‘lavati le mani!’, ma di non avere accesso all’acqua. E’ la situazione in cui si sono trovati 3 miliardi di persone nel 2020, in pratica la metà degli esseri umani del Pianeta. E sempre 3 miliardi è il numero di chi è colpito da scarsità d’acqua. Nella Giornata mondiale dell’acqua 2021, l’Unesco esce con un report dove prova a spiegare perché la gestione di una risorsa così fondamentale è un colabrodo.
Il rapporto Unesco per la Giornata mondiale dell’acqua 2021
L’agenzia delle Nazioni Unite ha una diagnosi molto chiara: colpa del prezzo dell’acqua. L’acqua costa troppo poco e quindi non le diamo abbastanza valore. Sia i privati cittadini che le industrie che i governi. “Coloro che controllano il valore dell’acqua controllano come viene utilizzata. I valori sono un aspetto centrale del potere e dell’equità nella governance delle risorse idriche. L’incapacità di valutare appieno l’acqua in tutti i suoi diversi usi è considerata una causa principale, o un sintomo, della negligenza politica dell’acqua e della sua cattiva gestione”.
Nel rapporto l’Unesco spiega che l’acqua e il suo valore reale devono essere inquadrati meglio. Come? Guardando tutti gli ambiti che la toccano. Il valore dell’acqua dipende certamente dalle risorse idriche, ma anche dall’infrastruttura necessaria per trasportarla o accumularla. E non vanno poi dimenticati i servizi idrici, come la depurazione ad esempio, e il suo ruolo economico come materia per le attività produttive. Infine, acqua che acquisisce un valore socio-culturale specifico, a seconda della regione in cui ci si trova.
Capitale naturale, ricette neoliberali
Due punti spiccano nel rapporto che esce in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’acqua 2021 e vuole offrire una panoramica dei problemi attuali. Il primo riguarda il rapporto tra prezzo dell’acqua e modo in cui concepiamo l’ambiente. Oggi, sostiene l’Unesco, diamo per scontati i servizi ecosistemici cioè quei benefici che traiamo dal complesso intreccio di fattori naturali che regolano il funzionamento degli ecosistemi naturali. E’ il tema del capitale naturale da incorporare nelle valutazioni economiche e, in ultima analisi, negli indicatori macroeconomici come il Pil. Tema che l’Onu ha fatto ufficialmente suo e su cui spinge moltissimo nel tentativo di convincere gli Stati a cambiare sguardo sull’economia. In buona sostanza, l’Unesco dice che il prezzo dell’acqua non riflette il suo valore perché diamo per scontati certi servizi ecosistemici (e il ruolo dell’acqua in essi). E propone di trovare dei metodi di valutazione standard per riempire questo gap.
Il secondo punto sottolineato dal rapporto è ben noto e riguarda lo spreco idrico legato a pratiche insostenibili in agricoltura e, in misura minore, nell’industria. L’agricoltura usa quasi il 70% delle risorse idriche globali di acqua dolce ed è ampiamente inefficiente. Ripetendo una ricetta proposta da decenni da più parti (e inclusa in ogni piano di supporto di istituzioni come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale), l’Unesco sostiene che gli sprechi sono così alti perché il prezzo dell’acqua è, anche qui, troppo basso e riflette solo in parte il vero valore della risorsa. L’assunto è che aumentando il prezzo si incentivi l’investimento per ammodernare pratiche, tecniche e macchinari per l’irrigazione e la produzione agricola.
Insomma, la ricetta proposta è sempre la solita più o meno: finanziarizzare la soluzione, o tramite l’assegnare valore economico alla natura intera, o lavorando sulla risorsa acqua nello specifico per innescare degli effetti a cascata.
Per Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco, “l’acqua è la nostra risorsa più preziosa, un ‘oro blu’ a cui più di 2 miliardi di persone non hanno accesso diretto”. Richard Connor, autore del rapporto conclude che “finché non valutiamo correttamente l’acqua, non raggiungeremo uno sviluppo sostenibile”.