La Giornata mondiale degli Oceani 2024 non è un’occasione di confronto tra scienziati, bensì un modo per responsabilizzare la popolazione di tutto il mondo. Vuole ricordarci che lo spazio che occupano le attività umane di vario tipo viene sottratto alla biodiversità. Nessuno può ragionevolmente tirarsi fuori da una presa di coscienza
L’8 giugno è la Giornata mondiale degli Oceani 2024
In occasione della Giornata mondiale degli Oceani 2024 (World Ocean Day), si sono levati da più parti gli appelli per la salvezza del nostro grande polmone blu. Infatti, nonostante sia così importante per la vita del Pianeta, e ovviamente per la nostra, non se la passa proprio benissimo.
Chi ha ideato la Giornata mondiale degli Oceani?
L’idea di questa celebrazione nacque nel 1992, quando le Nazioni Unite decisero di dedicare una Giornata alla salvaguardia e alla protezione degli oceani. Perché l’8 giugno? Perché è l’anniversario della Conferenza ONU di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo (1992). In quello storico summit venne riconosciuto per la prima volta lo status giuridico di “bene comune”.
La Giornata mondiale degli Oceani non è un’occasione di confronto tra scienziati, bensì un modo per responsabilizzare la popolazione di tutto il mondo. Nessuno, infatti, può ragionevolmente tirarsi fuori da una presa di coscienza. L’evento, pertanto, vuole ricordarci che lo spazio che occupano le attività umane di vario tipo (dal turismo, all’acquacoltura ai parchi eolici off shore) viene sottratto alla biodiversità.
World Ocean Day, non solo mare
Si pensa, erroneamente, che il mare e gli oceani interessino solo gli abitanti delle regioni costiere. Invece la salute del mare ha un impatto determinante sulla salute del Pianeta in generale, montagne incluse. Dobbiamo abituarci a indossare nuovi occhiali, quelli che regalano una visione globale dei problemi ambientali.
Lo scorso anno, sempre in occasione della Giornata mondiale degli Oceani, il WWF aveva pubblicato il rapporto SOS Mare Fuori che faceva il punto sulla situazione del Mediterraneo e delle coste italiane in particolare. Il titolo fa riferimento all’alto mare, ovvero quello a 12 miglia dalla costa, essenziale per la vita marina perché è lo spazio dove le specie ittiche vivono, passano, si nutrono, si riproducono. Peccato che quasi il 70% del mare aperto sia assediato da traffico marittimo, inquinamento e pesca non sostenibile.
Il grande malinteso
MSC – Marine Stewardship Council – organizzazione non profit che promuove pratiche di pesca sostenibili – ricorda l’importanza di proteggere gli oceani dall’impoverimento delle risorse ittiche a causa della pesca eccessiva, che spesso è anche illegale.
Per anni abbiamo vissuto immersi in un grande malinteso: abbiamo pensato che, data la vastità dei mari, le loro risorse fossero illimitate e che l’azione dell’uomo non avesse impatto negativo. Oggi sappiamo che non è così.
La pesca eccessiva non ha solo un impatto ambientale, ma anche economico e sociale. La pesca sostenibile, invece, lascia abbastanza pesci in mare perché si possano riprodurre, ha un minimo impatto sull’ecosistema ed è gestita nel rispetto delle leggi vigenti.
A cosa serve la Giornata Mondiale degli Oceani 2024?
I dati forniti dall’Unesco non lasciano spazio a dubbi sul valore del mare per la nostra vita e sul peggioramento della sua salute. Il tempo dell’indifferenza è finito, non possiamo più far finta di niente. La Giornata mondiale degli Oceani 2024 ci mette di fronte a dati evidenti sui quali dobbiamo riflettere seriamente.
Il mare rappresenta il 70% della superficie del Pianeta, produce fino all’80% dell’ossigeno che respiriamo, assorbe il 90% del calore in eccesso prodotto dal riscaldamento globale e un terzo dell’anidride carbonica, gas responsabile dei cambiamenti climatici. Inoltre, le correnti marine svolgono un’azione regolatrice del clima.
In vista della Giornata mondiale degli Oceani 2024, Marevivo ha organizzato in collaborazione con SIOI – Società Italiana per l’Organizzazione internazionale l’evento “Only One: One Planet, One Ocean, One Health”, promosso dalla Banca d’Italia. Marevivo ha anche promosso la campagna internazionale di sensibilizzazione “Only One” insieme alla Marina Militare e alla Fondazione Dhorn. Si tratta di una campagna itinerante partita a bordo delle navi scuola Palinuro e Vespucci e presente negli atenei della RUS – Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile, del CoNISMa e nelle direzioni marittime d’Italia.
In natura tutto è collegato
Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, si esprime senza mezzi termini: «Il mare è in grave pericolo e la nostra vita dipende dalla sua salute. Ogni nostro piccolo gesto conta. Le scelte che ciascuno di noi compie nel quotidiano, anche in cabina elettorale, possono avere conseguenze importanti. Vi chiedo di analizzare i programmi e di scegliere in modo consapevole i rappresentanti che ci governeranno in Europa, affinché si impegnino a destinare i fondi del Green Deal a interventi per l’ambiente e portino avanti azioni concrete e necessarie per il bene del Pianeta. In natura tutto è collegato. Galileo Galilei diceva che le cose sono unite da legami invisibili e che non si può cogliere un fiore senza turbare una stella. Per questo tutti siamo chiamati a essere parte del cambiamento».
Qual è il tema della Giornata mondiale degli Oceani 2024?
Il tema della Giornata mondiale degli Oceani 2024 è “Risveglia nuove profondità”. Ma al momento le profondità degli oceani, come le superfici, sono invase dalla plastica. Nel 2016 lo studio The new plastics economy – Rethinking the future of plastics della Ellen Mac Arthur Foundation aveva previsto che nel 2050 gli oceani conterranno più plastica che pesci: purtroppo aveva visto giusto.
In mare la plastica si riduce in invisibili micro-particelle che entrano nella catena alimentare. Tracce di microplastiche sono state trovate persino nella placenta, nel latte materno, nel sangue.
Il Mediterraneo è la sesta grande zona di accumulo dei rifiuti plastici al mondo. Qui finiscono più di 200.000 tonnellate di plastica all’anno, cioè il contenuto di oltre 500 container al giorno, e la plastica rappresenta quasi il 70% del peso dei rifiuti raccolti. Anche a causa delle correnti, nel Santuario Pelagos – una zona di protezione dei mammiferi marini e del loro habitat a cui partecipano Italia, Francia e Principato di Monaco in base a un accordo attivo dal 2022 – si registrano i tassi di microplastiche tra i più elevati al mondo.
Il discorso sui rifiuti non si limita alle plastiche, ma anche a molto altro, tra cui i cosiddetti attrezzi fantasma, ovvero reti ed elementi da pesca abbandonati in mare. Per non parlare delle attività di estrazione al largo e degli sversamenti illegali.
Esistono leggi che proteggono il mare?
Purtroppo non esistono leggi in difesa del mare, sia a livello nazionale che internazionale. Ad esempio, in Italia la cosiddetta Legge Salvamare è stata approvata nel maggio 2022, ma a tutt’oggi manca la maggior parte dei decreti attuativi. Eppure contribuirebbe al risanamento e alla tutela dell’ecosistema marino.
L’Unione Europea ha recentemente approvato la direttiva sulla plastica monouso in cui rientra anche il negoziato sulla revisione del regolamento sugli imballaggi e il loro riuso, che però l’Italia – secondo la Commissione Europea – non ha recepito “pienamente e correttamente” oltre ad aver violato gli obblighi previsti dalle norme sulla trasparenza del mercato unico.
La politica, come troppo spesso accade, rimane indietro rispetto alla società e agli eventi. Nello specifico, sembra impreparata a gestire con determinazione problemi legati all’ambiente che influiscono sulla salute delle persone. Ancora una volta ci si rende conto che senza un cambiamento culturale sarà impossibile arrivare a una vera transizione ecologica.
Il ruolo delle organizzazioni internazionali
Anche in politica e nelle organizzazioni internazionali si può e si deve fare meglio, ma non finiremo per buttare il bambino con l’acqua sporca?
Lo abbiamo chiesto a Pietro Sebastiani, ambasciatore e membro del comitato direttivo della SIOI-Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale.
«Esiste la necessità di rafforzare il sistema multilaterale internazionale che negli ultimi 25 anni purtroppo si è molto indebolito. Per citare l’evento “Only One: One Planet, One Ocean, One Health” (a cui Sebastiani ha partecipato in qualità di relatore), siamo tutti una sola cosa, ma soprattutto c’è la responsabilità di ciascuno di mettere un freno al degrado dei temi ambientali ed economico-sociali. Sicuramente è necessario un cambio di passo economico, ma la questione cruciale è che nessun paese può fare da sé. Tutti devono fare la loro parte – inteso come ogni cittadino, ogni impresa, ogni struttura ammnistrativa e politica – ma i paesi devono lavorare insieme, perché temi di portata globale si possono affrontare solo cooperando. Sembra ovvio, ma è bene ripeterlo».
Possiamo avere ancora fiducia nelle organizzazioni internazionali?
Sebastiani spiega perché la lettura non deve fermarsi alla superficie delle cose: «Non facciamoci prendere dalla sensazione che le organizzazioni internazionali non possano far nulla o che siano fragili, deboli o inefficienti. Può esserci del vero in alcuni casi, ma le organizzazioni internazionali sono fatte di persone, di funzionari che credono molto nel lavoro che fanno e ci mettono passione. Gli Stati sono gli “azionisti” principali delle organizzazioni internazionali, che quindi eseguono gli ordini degli Stati e dei governi. Gli stessi Stati non possono nascondersi dietro un dito quando parlano di inefficienza delle organizzazioni internazionali – ad esempio delle Nazioni Unite – perché la loro carenza di politiche efficaci e di fondi determina la realtà dei fatti».
In concreto, come possiamo diventare attori del cambiamento?
«Rivedere il sistema economico significa anche portare avanti con convinzione delle scelte mirate, magari con i nostri acquisti, o con una conversione verso diete meno legate al consumo di proteine animali».
L’ambasciatore cita il passato per leggere il presente e il futuro.
«Tommaso Moro vedendo le recinzioni dei pascoli liberi nell’Inghilterra di Cromwell disse: “Ho sempre saputo che gli uomini mangiano le pecore, non avrei mai pensato che le pecore potessero mangiare gli uomini”. Le scelte sbagliate in campo agroalimentare portarono a carestie in Inghilterra. Lo abbiamo rivisto purtroppo, in forma diversa, nei primi anni Duemila, con il cambio di alimentazione in Cina e in parte dell’Asia. Optare per diete molto proteiche rese necessario procurarsi grandi quantità di cereali. Si creò così uno squilibrio che portò al land grabbing in Africa, ovvero a una sottrazione di cereali e terreni che provocò carestie e ulteriore insicurezza alimentare in diverse zone del continente africano».
La riparazione sostenibile delle barriere coralline
Una buona notizia arriva oggi dal mondo della ricerca. Sappiamo che i cambiamenti climatici danneggiano le barriere coralline. Per recuperarle è necessario far crescere nuove colonie di corallo in ambienti protetti, i vivai sommersi chiamati nurseries.
Le nuove colonie vengono poi trasferite nelle porzioni di barriera danneggiate con l’ausilio di materiali che ne permettono l’adesione. Questi materiali, però, sono tossici per l’ambiente e hanno bisogno di tempi lunghi per l’indurimento.
L’Istituto Italiano di Tecnologia e l’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Acquario di Genova, hanno messo a punto un materiale biodegradabile e non inquinante di origine vegetale che indurisce in 20-25 minuti.
Gli esperimenti sono stati condotti alle Maldive nel MaRHE Center (Marine Research and Higher Education Center). I risultati dello studio sono riportati nell’articolo Underwater Quick-Hardening Vegetable Oil-Based Biodegradable Putty for Sustainable Coral Reef Restoration and Rehabilitation pubblicato in Wiley Online Library. Per il nuovo materiale – sviluppato anche grazie a finanziamenti del progetto “Futuro Centro Nazionale per la Biodiversità” del PNRR – è già stata depositata la domanda di brevetto.
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