Rispetto al 2022, la neve sulle Alpi è il doppio. Ma resta ancora la metà di quella che è caduta normalmente negli ultimi 12 anni. Per i mesi estivi lo spettro della siccità aleggia ancora
I dati della Fondazione CIMA relativi all’equivalente idrico nivale: deficit del 50%
(Rinnovabili.it) – Maggio è stato molto piovoso, gli indici di umidità del terreno sono tornati su valori elevati, i grandi laghi al Nord hanno livelli di riempimento “confortanti” per l’Anbi, le portate del fiume Po nei vari segmenti sono superiori alle medie storiche (a Torino 233 m3/secondo, +54% rispetto alla norma). Tutto bene, quindi? Abbiamo recuperato i deficit estremi toccati nel 2022 e nella prima parte di questo 2023? La risposta purtroppo è no. L’emergenza siccità in Italia non è finita: ci sono delle ragioni strutturali che suggeriscono, perlomeno, di usare molta cautela. Per trovarle dobbiamo salire in montagna, sulle Alpi.
Manca la neve, l’acqua di domani
Chi vive al Nord in queste settimane, oltre alle piogge, ha visto anche nevicate abbondanti in montagna. Su gran parte dell’arco alpino le vette sono di nuovo imbiancate, in alcuni punti con accumuli considerevoli. Eppure la quantità di neve disponibile è ancora poca. E la situazione siccità in Italia del 2023, partito anche peggio del 2022, non è stata ribaltata.
A fare i conti sono i ricercatori della Fondazione CIMA. La neve in quota è a livelli doppi rispetto al 2022, ed è una buona notizia. “Maggio ha portato l’ingrediente che è mancato nel corso di tutto lo scorso inverno: le precipitazioni. Si tratta principalmente di pioggia ma, a elevate altitudini, anche di un po’ di neve”, spiega Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica di Fondazione CIMA. “Insieme a temperature relativamente fresche per questo periodo, ciò significa che l’attuale SWE è, in effetti, il doppio di quello del 2022 per questa data in alcune aree d’Italia, come la Valle d’Aosta”.
L’SWE o Snow Water Equivalent, in italiano equivalente idrico nivale, è un indice che misura la quantità di acqua che è stoccata nella neve accumulata in montagna. È un dato fondamentale per capire come sta andando davvero l’emergenza siccità in Italia: il bacino del Po è il principale serbatoio idrico del paese, e per il Po la neve alpina costituisce normalmente fino al 60% della sua portata annuale.
Tutti i dati aggiornati dell’emergenza siccità in Italia, vista dalle Alpi
In montagna c’è il doppio della neve, ma rispetto al 2022. Se confrontiamo l’SWE con il valore medio degli ultimi 12 anni (2010-2022), invece, il deficit è ancora del 49% nel bacino del Po, -50% a livello nazionale. Sulle Alpi c’è più o meno 1 miliardo di metri cubi di neve, dovrebbero essere almeno 2. Perché le nevicate sono sì state abbondanti, ma solo a quote elevate, sopra i 2500 metri. La superficie montana a quelle altezze è ridotta, è appena il 2% del territorio italiano. In più le nevicate non sono state omogenee, spiega la Fondazione CIMA. Nel nord-est il deficit nivale è ancora paragonabile a quello del 2022. Nel bacino dell’Adige arriva a -59%.
“Diciamo sempre che l’accumulo di neve deve essere visto come una maratona: deve perdurare nel tempo ed essere costante. Purtroppo, la stessa similitudine della maratona può essere applicata anche al fenomeno della siccità. Anch’essa, infatti, si sviluppa nel corso dei mesi (non bastano certo pochi giorni senza pioggia per dire che ci si trova in un periodo secco), con una mancanza di precipitazioni e un impoverimento della riserva idrica che va facendosi via via più marcato”, conclude Avanzi.