Entro il 2100, più di tre quarti (il 77%) degli acquiferi costieri subirà l’intrusione di acqua salata. Le ragioni dietro l’aumento del cuneo salino? Una combinazione di innalzamento del livello del mare e riduzione della ricarica delle acque sotterranee. Mentre il primo aumenta la pressione del mare sull’acqua dolce costiera, la minore ricarica diminuisce la resistenza delle acque dolci.
Lo ha calcolato uno studio sulla vulnerabilità futura all’intrusione salina apparso su Geophysical Research Letters, guidato dal Jet Propulsion Laboratory at California Institute of Technology della NASA di Pasadena, in California.
3 scenari di aumento del cuneo salino
Gli autori hanno analizzato tre scenari che considerano solo alcuni o tutti congiuntamente i fattori che possono influenzare l’aumento del cuneo salino. Evidenziando le regioni dove l’intrusione sarebbe maggiore. Nello specifico:
- Primo scenario: cambiamenti nella ricarica degli acquiferi (senza considerare il livello del mare). Lo studio prevede intrusioni salmastre significative (nel 45% delle aree costiere), specie in regioni aride come la Penisola Arabica e l’Australia occidentale. In questo scenario, l’Italia vede una situazione mista. Molte parti delle regioni centrali vedono un arretramento del cuneo salino, mentre nel resto della penisola c’è un aumento ma decisamente limitato.
- Secondo scenario: innalzamento del livello del mare, senza altri fattori concomitanti. Questo fattore, da solo, causa intrusione salina nell’82% delle aree costiere, specialmente in zone basse come il Sud-Est asiatico. Anche se l’intrusione media è più contenuta rispetto al primo scenario. È lo scenario più favorevole per l’Italia: c’è aumento del cuneo salino pressoché ovunque, ma molto limitato.
- Terzo scenario: i due fattori combinati. Genera intrusioni più diffuse (nel 77% delle aree) e spostamenti medi del fronte salmastro di 210 m verso l’interno. In questo caso, in Italia permangono delle zone di ritirata del cuneo salino, mentre emergono aree a forte infiltrazione soprattutto in Sicilia e in alcune specifiche aree lungo il versante adriatico.
“A seconda di dove ti trovi e di quale prevale, le implicazioni per come gestire il fenomeno potrebbero cambiare”, ha affermato Kyra Adams del JPL e prima autrice dello studio.