Dal 2022 a oggi abbiamo tutelato solo lo 0,5% di aree di mare in più. Dovremmo aumentarle del 3,5% l’anno per centrare l’obiettivo 30x30 stabilito dal Global Biodiversity Framework
Oggi solo l’8,3% della superficie degli oceani è tutelata. In 2 anni i progressi sono stati miseri: appena lo 0,5% in più. Di questo passo, a fine decennio arriveremo appena al 9,7%. Ben distante dall’obiettivo del 30% di aree marine protette deciso nel 2022 alla Cop15 di Kunming e Montréal. Dovremmo invece ampliare le aree di più del 3,5% l’anno, 15 volte più di oggi. Non solo. Le zone dove il livello di protezione è elevato o totale sono soltanto il 2,8%.
Sono i numeri, impietosi, dei progressi registrati nell’ultimo biennio verso l’obiettivo al 2030 più importante per invertire la perdita di natura e proteggere la biodiversità globale. Li mette insieme un rapporto di Bloomberg Ocean Fund, in collaborazione con Marine Conservation Institute, SkyTruth e Campaign for Nature, rilasciato alla vigilia della Cop16 di Cali che inizia il 21 ottobre.
Aree marine protette globali: a che punto siamo?
Uno dei momenti chiave del summit sarà il monitoraggio dei progressi verso gli obiettivi sulla biodiversità al 2030. Il rapporto delle ong fa il punto della situazione.
Solo 14 paesi hanno tutelato più del 30% delle loro acque come aree marine protette. Si tratta di Monaco, Palau, Regno Unito, Kazakistan, Nuova Zelanda, Australia, Argentina, Germania, Cile, Colombia, Belgio, Francia, Seychelles e Paesi Bassi. E pochi di più hanno inserito degli obiettivi specifici nelle loro strategie per la tutela della biodiversità. Se questa è la situazione nelle acque territoriali, molto peggio va per le acque internazionali: la protezione riguarda meno del 2% di quelle acque e appena l’1% è particolarmente protetto.
Il divario tra protezione sulla carta e tutela effettiva è molto ampio, in tutte le regioni. I paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno designato il 27% delle loro acque come aree marine protette, ma solo il 2,5% è ad alta protezione. Il Nord America è la regione con i dati migliori: 22% di protezione e 17% di livello elevato. In Europa questi dati scendono al 20% e al 7%.
C’è poi un problema di fondo che minaccia il raggiungimento degli obiettivi al 2030: la definizione ufficiale di aree marine protette “è applicata in modo incoerente dai paesi”, spiega il rapporto. Sicché si moltiplicano i casi di “blue washing”. Ad esempio, in molte aree tutelate viene consentita la continuazione di attività incompatibili con un’efficace conservazione della biodiversità, come la pesca industriale, l’estrazione di petrolio e gas, l’attività mineraria, il dragaggio.