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Soluzioni contro l’allarme siccità: “invasi e commissari non sono la risposta giusta”

Il decreto Siccità prevede solo “soluzioni estemporanee” e sbaglia approccio, accusano 12 ong tra cui Legambiente e Wwf. La siccità si affronta a livello di bacino idrografico, serve puntare sulle soluzioni naturali (sfruttando gli ecosistemi) e uscire dalla logica dell’emergenza

Allarme siccità: il decreto è inutile, ecco le soluzioni
Foto di ju Irun da Pixabay

L’appello di 12 associazioni ambientaliste per gestire meglio l’allarme siccità

(Rinnovabili.it) – Basta “slogan e soluzioni estemporanee” come quelle che sono state presentate con il decreto Siccità 2023. Bisogna andare oltre l’emergenza e affrontare l’allarme siccità e la crisi climatica finalmente in modo integrato. Lo sostengono 12 associazioni ambientaliste in un appello al governo affinché cambi rotta rispetto al piano d’azione presentato solo pochi giorni fa.

“La crisi climatica e la siccità vanno affrontate subito e in maniera realmente efficace. Non servono slogan e soluzioni estemporanee ma interventi integrati che vadano oltre l’emergenza mettendo in campo una politica idrica che favorisca l’adattamento ai cambiamenti climatici, scrivono CIPRA Italia, CIRF, Deafal, Dislivelli, Federazione Nazionale Pro Natura, Federparchi, Free Rivers Italia, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness e WWF Italia nell’appello sull’allarme siccità.

Quanto è grave l’allarme siccità in Italia?

La situazione di siccità in Italia si protrae ormai dalla fine del 2021. L’anno scorso la mancanza di piogge e di neve a messo a dura prova il Belpaese, causando almeno 6 miliardi di danni all’agricoltura, diminuendo la generazione idroelettrica e costringendo molti Comuni, soprattutto al Nord, a ricorrere alle autobotti.

Quest’anno sta andando anche peggio. Secondo le ultime rilevazioni dell’Anbi, il Po ha una portata del 25% inferiore al precedente minimo storico per il mese di aprile: 338,38 metri cubi al secondo alla foce, numeri che l’anno scorso si erano visti solo intorno a inizio giugno. Il deficit di neve in Italia, al picco dell’inverno, è arrivato al -63% rispetto alla media degli ultimi 12 anni. Solo tra fine febbraio e la prima metà di marzo si è sciolta 1/3 della riserva nivale. Il deficit di equivalente idrico nivale (la quantità di acqua stoccata nella neve in montagna) è del 30% rispetto al 2022 (mancano 2 miliardi di metri cubi).

Da dove ripartire

Di fronte a una situazione di questo tipo, sottolineano le associazioni, il governo ha scelto semplicemente di pianificare più infrastrutture, dare poteri a un commissario e ignorare le soluzioni basate sulla natura. “Disseminare il territorio di nuovi invasi non è la risposta”, affermano; bisogna invece dare le redini in mano alle Autorità di bacino distrettuale in modo che possano raccogliere dati, costruire modelli previsionali e definire con precisione i bilanci idrici. L’allarme siccità dev’essere insomma affrontato a livello di bacino idrografico, non dalla poltrona di un commissario.

E bisogna poi allargare e ampliare “il ventaglio delle soluzioni tecniche praticabili attraverso la realizzazione di nuove e moderne pratiche e misure per ridurre la domanda di acqua ed evitarne gli sprechi”. Trovando nuovi modi di risparmiare e premiando chi lo fa. In queste soluzioni rientrano il risparmio negli usi civili attraverso la riduzione delle perdite e dei consumi,  i risparmi degli usi agricoli con la rimodulazione degli strumenti di programmazione regionali della nuova PAC (la politica agricola comune), “per renderli capaci di orientare le scelte degli agricoltori verso colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti”.

No agli invasi artificiali: il luogo migliore dove stoccare l’acqua è la falda, ogni qual volta ce n’è una”. Per favorire l’accumulo e il ripristino della falda, però, occorre “ripristinare tutte quelle pratiche che permettano di trattenere il più possibile l’acqua sul territorio e favorire azioni di ripristino della funzionalità ecologica del territorio e ripristino dei servizi ecosistemici”.