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L’aerosol atmosferico più abbondante sul nostro pianeta: il sea spray

Le particelle di aerosol formate dall'oceano svolgono un ruolo determinate in numerosi fenomeni climatici e meteorologici. Conoscerne i fattori che ne influenzano le caratteristiche chimico-fisiche è fondamentale

Contenuto realizzato nell’ambito del progetto CNR 4 Elements

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Figura 1. Dettaglio della formazione di particelle “giganti” di sea spray. Fotografia Alessandro Benedetti (CNR-ICMATE).

di Elisa Canepa

Per aerosol atmosferico si intende una sospensione di particelle liquide o solide in aria. Tali particelle svolgono un ruolo determinante sul piano del cambiamento climatico tramite la loro complessa interazione con la radiazione solare. E, a causa della loro capacità di agire da nuclei di condensazione delle nubi, influenzano le condizioni meteorologiche. Giocando un ruolo importante anche nell’evoluzione degli ecosistemi per mezzo di numerosi meccanismi diretti e indiretti. Inoltre, l’aerosol atmosferico influenza quotidianamente la vita di tutti noi tramite la sua azione sulla riduzione della visibilità, sul peggioramento della qualità dell’aria, in particolare in ambito urbano, e sul deterioramento della integrità dei manufatti attraverso la sua capacità di innescare fenomeni corrosivi, solo per fare alcuni esempi. 

Lo studio dell’aerosol atmosferico pone grandi sfide alla scienza, sia per la sua misurazione, sia per la sua modellizzazione numerica. Questo a causa della sua estrema variabilità relativamente a origine, composizione chimica, dimensioni, che variano da circa 0.001 µm a 100 µm e, di particolare rilievo, alla sua distribuzione spaziale e temporale che è altamente disomogenea. L’origine è mista in quanto è prodotto sia da sorgenti naturali, sia antropiche. In aggiunta, la sua composizione dipende sia dalle emissioni locali sia da fenomeni di trasporto che possono spaziare dal corto raggio sino alla scala planetaria. 

Le attenzioni dedicate al contenimento dei livelli elevati di aerosol atmosferico a livello locale, in particolare quelle relative alla limitazione delle emissioni antropogeniche, sono ben note a tutti. In effetti, tipicamente, sono quelli prodotti dalle attività umane che contribuiscono maggiormente ai quantitativi di aerosol in sospensione a scala urbana mentre, a scala globale, le cose stanno in modo molto diverso e sono gli aerosol di origine naturale la componente maggioritaria. Quindi, per determinare quanto le emissioni di origine antropogenica perturbino il bilancio dell’aerosol anche a scala globale, per prima cosa è necessario comprendere il contributo degli aerosol naturali. 

La stima della quantità delle emissioni di aerosol a scala globale è un compito arduo svolto dai ricercatori utilizzando sia misure, spesso indirette e/o poco rappresentative da un punto di vista spazio-temporale, sia complessi modelli numerici basati non solo sulla rappresentazione delle condizioni meteo-marine, ma anche dell’attività antropica. Le incertezze sui risultati sono necessariamente molto grandi e difficili da quantificare. Tuttavia, si può affermare che, globalmente, le emissioni di origine naturale abbiano una massa circa 100 volte maggiore di quelle antropogeniche. Fatta eccezione per i rarissimi periodi caratterizzati da una attività vulcanica estremamente rilevante, le due principali componenti dell’aerosol naturale sono le polveri, emesse principalmente dai deserti, e il sea spray, emesso dal mare, che con una copertura della superficie terrestre pari a circa il 71%, rappresenta la principale sorgente di aerosol atmosferico.

Figura 2. Schiuma e particelle “giganti” di sea spray. Fotografia Alessandro Benedetti (CNR-ICMATE).

Il sea spray è l’insieme di particelle liquide emesse dalla superficie del mare, composte da sale marino, materiale organico e acqua. La dimensione di tali particelle è molto variabile, da sub-micrometrica a millimetrica, quest’ultima caratterizza le particelle dette “giganti” (figura 1). Il sea spray è emesso a seguito del frangimento delle onde che provoca la formazione di schiuma (figura 2) costituita da tante bolle che contengono aria, sia in mare aperto, sia lungo la costa (figure 3, 4 e 5). Quindi la quantità di sea spray emesso è collegata all’estensione del cosiddetto “whitecap”, cioè la parte di superficie “bianca” del mare, la formazione e persistenza del quale dipendono non solo dalle leggi della fisica, ma anche dai fenomeni biologici. Le leggi fisiche che descrivono il frangimento, quindi la formazione di whitecap, tra l’altro oggetto di studio del recente premio Nobel Klaus Hasselmann, sono principalmente legate alle caratteristiche del vento, delle onde, dei fondali e della temperatura di superficie del mare.

È intuitivo che un mare agitato produca più frangenti di un mare calmo, ma la completa descrizione matematica del fenomeno, tramite formule predittive, è un problema di estrema complessità non ancora completamente risolto. In ogni caso, a parità di condizioni fisiche, è la biochimica del mare che ci dice quanta schiuma si formerà e per quanto tempo sarà attiva nel suo ruolo di emissione del sea spray. Infatti, recenti studi hanno messo in luce il rilevante contributo dei surfattanti presenti in acqua a causa sia della grande quantità di materiale organico che il mare ospita permanentemente, la più ingente del globo terrestre, sia dei complessi cicli temporali dell’attività biologica marina. Le acque caratterizzate da intensa attività biologica producono maggiori quantità di sea spray rispetto a quelle povere di sostanze nutritive, ma le dinamiche ambientali per la determinazione di una precisa relazione quantitativa con le emissioni non sono ancora state chiarite. Tali dinamiche sono infatti influenzate da complesse interrelazioni, ancora almeno parzialmente ignote, tra variabili fisiche, come la radiazione solare, chimiche, ad esempio l’abbondanza di nutrienti, e fattori di controllo delle popolazioni di microorganismi marini, quali la presenza di virus. 

Le goccioline di sea spray emesse dal mare vengono trasportate in atmosfera dove scambiano con essa calore e quantità di moto. Le particelle più piccole sono tipicamente emesse dalle bolle d’aria, costituenti la schiuma, che “esplodono” arrivando in superficie. Tali particelle possono essere trasportate molto distanti dal luogo di origine e restare per molti giorni in sospensione in atmosfera, dove interagiscono con la radiazione solare, subiscono fenomeni di evaporazione diminuendo ulteriormente di dimensioni, eventualmente fino a perdere completamente la componente acquosa, prendono parte alle reazioni chimiche dell’aerosol atmosferico e agiscono come nuclei di condensazione delle nubi. Le particelle più grandi, invece, sono tipicamente “strappate” dalle creste delle onde in presenza di vento intenso, oppure derivano dal frangimento delle onde, in particolare di grandi dimensioni, sulla costa. Tali particelle, che risentono maggiormente dell’azione della forza di gravità, restano in prossimità della superficie del mare e sono le principali protagoniste degli scambi di calore e quantità di moto tra mare e atmosfera, scambi così intensi da modificare la dinamica delle tempeste in condizioni di vento estremo. 

In sintesi, le caratteristiche fisico-chimiche del sea spray, che abbiamo visto essere protagonista di numerosi fenomeni climatici e meteorologici, variano anche in risposta ai cambiamenti delle popolazioni di fitoplancton e batteri presenti nel mare in un inscindibile abbraccio tra materia inanimata ed esseri viventi, il pianeta terra che costituisce un unico sistema interconnesso, come già espresso da Spinoza e Schopenhauer in termini filosofici, e in tempi recenti dalla famosa “ipotesi Gaia” di Lovelock.

di Elisa Canepa, CNR-IAS-Genova