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Acque contaminate: ogni mese beviamo pochi grammi di nanoplastiche

Un gruppo di ricercatori ha studiato il destino delle nanoparticelle di polietilene e polistirene in ambienti acquatici. Per gli impianti di trattamento è praticamente impossibile catturarle

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Credits: Pop Nukoonrat © 123rf.com

Sale e forza ionica hanno effetti significativi sulla stabilità delle nanoplastiche in acqua

(Rinnovabili.it) – Cresce il livello di acque contaminate dai rifiuti plastici, così come la preoccupazione per il loro impatto su salute e ambiente. Una preoccupazione alimentata soprattutto dalle poche informazioni sul problema. Nonostante la plastica sia in giro da quasi 100 anni, infatti, gli studi sugli effetti di micro e macro rifiuti sono recentissimi e ancora incompleti. E le conoscenze diventano ancora più esigue quanto si tratta di nanoplastiche, particelle invisibili a occhio nudo, che possono essere assorbite dalle cellule viventi. 

Per fare più chiarezza su questa tipologia di rifiuto, un team di ricerca della Washington State University ha esaminato cosa succede alle minuscole particelle che fanno strada nell’ambiente acquatico. Il gruppo – guidato dall’ingegnere ambientale Indranil Chowdhury – ha scoperto che le nanoplastiche più comuni hanno due tipi di comportamento. Possono spostarsi attraverso l’approvvigionamento idrico, specialmente nell’acqua potabile, o stabilirsi in impianti di trattamento delle acque reflue, finendo nei fanghi.

Nessuno dei due scenari, spiegano gli scienziati, è buono.

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“Stiamo bevendo molta plastica”, ha dichiarato Chowdhury. “Pochi grammi ogni mese o giù di lì. Ciò è preoccupante perché non sappiamo cosa accadrà dopo 20 anni”. Quello che ha scoperto il gruppo è che il problema delle acque contaminate da nanoplastiche può aggravarsi o meno rispetto alla chimica del corpo idrico.

Nel loro studio, i ricercatori hanno indagato il destino delle nanoparticelle di polietilene e polistirene, materiali largamente impiegati in un numero enorme di prodotti quotidiani: dai sacchetti di plastica agli elettrodomestici da cucina, dai bicchieri usa e getta e agli imballaggi. E lo hanno fatto testandole in diversi tipi di acque, da quella marina a quella contenente materiale organico.

La sperimentazione ha mostrato che, mentre l’acidità dell’acqua ha scarso impatto su ciò che accade alle nanoplastiche, il sale e la materia organica naturale sono importanti per determinare come si muovono o si depositano. 

Nello specifico si è visto che i nano-frammenti di polietilene rimangono abbastanza stabili e mobili nelle acque di superficie naturali ma possono essere destabilizzati nelle acque reflue, sotterranee o di mare. “I nostri impianti di potabilizzazione non sono sufficienti per rimuovere queste plastiche su micro e nanoscala”, ha aggiunto Chowdury. “Stiamo trovando queste materie nell’acqua potabile ma non sappiamo perché”. Lo studio è stato pubblicato in questi giorni su Water Research (testo in inglese).

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