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L’accordo sul clima? Per gli USA ora è “un cattivo affare”

Il capo dell’agenzia per l’ambiente gela il sangue agli ambientalisti, preoccupati che il paese possa lasciare a breve l’accordo sul clima

accordo sul clima USA un cattivo affare

 

(Rinnovabili.it) – Un cattivo affare. Così il capo dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA), Scott Pruitt, ha definito l’accordo sul clima di Parigi. La dichiarazione, diffusa ieri in un’intervista a Fox News, fa tremare le vene e i polsi agli ambientalisti, perché arriva a stretto giro rispetto a un ordine esecutivo del presidente USA, Donald Trump, che ha sostanzialmente azzerato le misure varate dall’amministrazione Obama sui cambiamenti climatici. Anche il Clean Power Plan, che avrebbe dovuto tagliare le emissioni di carbonio delle centrali elettriche, è finito in soffitta con una firma del nuovo inquilino della Casa Bianca.

A che gioco sta giocando Trump? Il timore di alcuni è che tutti questi colpi sotto la cintura delle normative ambientali siano il preludio di una uscita dai negoziati sul clima. Ma è lo stesso Pruitt a gettare acqua sul fuoco, almeno per il momento: «Per conservare la leadership che abbiamo dimostrato su questo tema con la Cina, l’India e altre nazioni [Parigi] è molto importante e i negoziati dovrebbero proseguire».

 

L'accordo sul clima USA un cattivo affare 2La decisione sul futuro degli Stati Uniti nell’accordo verrà comunicata al G7 di giugno, dichiarava la scorsa settimana il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer. Una frase che accende sin d’ora i riflettori sul vertice.

Intanto, il prossimo 6-7 aprile a Washington arriverà Xi Jinping, il presidente cinese che ha già garantito il suo impegno a proseguire sulla strada tracciata nel 2015 dalla Conferenza ONU sul clima. Nel frattempo, la Reuters segnala che fonti della Casa Bianca avrebbero confermato l’esistenza di una sorta di consultazione aperta dall’amministrazione con le aziende fossili, per ricavarne dei feedback circa il testo uscito dalla COP21. È possibile che proprio la divisione interna alle lobby di carbone e petrolio costituisca uno dei motivi per cui il presidente non ha ancora preso decisioni irreparabili sul fronte degli impegni internazionali sull’ambiente. I primi tre produttori di carbone del paese – Peabody Energy, Arch Coal e Cloud Peak Energy – sono ad esempio favorevoli a che gli USA non brucino la carta di Parigi, soprattutto se l’amministrazione riuscirà a garantire un maggiore sostegno finanziario alle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio.