La notizia della bocciatura, da parte del presidente USA, Donald Trump, dell‘accordo sul clima di Parigi, uscito dalla COP21, ha fatto il giro del mondo, scatenando un fiume di reazioni. A guardar bene, però, the Donald ci aveva preparati. Lo stesso ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ospite d’onore al recente “Seeds&Chips 2017″, a Milano, nell’ambito del Food Innovation Summit (8-11 maggio 2017), aveva tracciato un quadro molto chiaro delle misure meno restrittive nei confronti dell’impatto sul climate change che la nuova amministrazione americana aveva già iniziato a varare, pur affermando che questo è il bello della democrazia e che un vasto sistema di misure preventive è ormai in atto da anni in molte grandi aziende americane. Ma tant’è.
Nel coro di voci levatesi a difendere l’importanza del rispetto del patto sul clima di Parigi, fra le altre istituzioni, quella del Consiglio Nazionale delle Ricerche, presente per la prima volta, dal 1946, alla parata storica della Festa della Repubblica, celebrata il 2 giugno a Roma. “Il successo mondiale raggiunto recentemente con l’accordo di Parigi sul clima per il futuro dei nostri figli e nipoti – ha detto Massimo Inguscio, presidente del CNR e della Consulta dei presidenti degli enti di ricerca pubblica – grazie allo straordinario gioco di squadra e senso di responsabilità di tutte le nazioni e leader di governo del mondo, sono stati possibili grazie al prezioso contributo delle ricerche e scoperte indipendenti delle migliori ricercatrici e scienziati dei principali enti di ricerca e università dei diversi paesi, tra cui l’Italia e, tra i suoi enti, i ricercatori del CNR”.
Inguscio ha ricordato poi “la risposta immediata dell’appassionata comunità scientifica italiana e internazionale”, che è andata a intersecarsi con “le dichiarazioni dei leader europei, tra cui il presidente del Consiglio, Gentiloni, assieme alla cancelliera Merkel e al presidente francese Macron e delle altre nazioni”, a cui egli si è associato “nel ribadire l’importanza fondamentale degli obiettivi e impegni presi e sottoscritti negli accordi di Parigi sul clima”. Un impegno, ha concluso il presidente del CNR, che si declina “con l’impegno per il rispetto e la conservazione della terra e dell’ambiente, e per l’unico futuro possibile per le generazioni in Italia, in Europa e e nel mondo, come meravigliosamente sostenuto da Papa Francesco nella sua bellissima enciclica Laudato Si’, di cui il Santo Padre ha donato una copia al presidente americano Trump durante la recente visita in Vaticano”. Ripensando alle immagini e alle parole di quel colloquio che ha rubato l’attenzione di tutti i media del mondo, ci si rende conto che il Presidente americano ha fatto ormai delle fughe in avanti, con effetti spiazzanti – sulle relazioni politiche sia esterne che interne al Suo paese – una cifra del suo mandato. Un video imperdibile pubblicato dal New York Times, che è anche il più scaricato fra quelli proposti, in 2 minuti e 49 secondi ha condotto un Fact Check sull’uscita di Trump dall’accordo di Parigi.
Nel video gli autori verificano una per una le affermazioni del Presidente, spesso segnalando delle distorsioni, a partire dall’affermazione che l’accordo non è stato imposto in modo punitivo agli USA, ma che questi vi hanno aderito liberamente, insieme ad altri 194 paesi. Eppoi: Trump sostiene che l’accordo costerà 2,7 milioni di posti di lavoro persi entro il 2025 ( anno entro il quale si dovrebbero ridurre le emissioni di anidride carbonica del 26 per cento), citando lo studio sponsorizzato condotto da un centro di ricerca americano – evidentemente non indipendente-, dal quale emergerebbe che l’economia non trarrebbe beneficio dalle innovazioni in campo energetico. Molti business leaders di aziende come Adobe, Apple, Facebook, Google, Morgan Stanley, Unilever e tante altre ancora, in una lettera aperta a Trump hanno affermato viceversa la spinta propulsiva delle innovazioni che hanno sempre creato nuovi mercati e nuovo lavoro, contribuendo a prevenire i disastri naturali correlati al climate change. E ancora: il presidente USA ha minimizzato gli effetti sull’abbassamento della temperatura globale, a partire dal 2100, se gli accordi venissero rispettati in toto, citando, a suo dire, uno studio dell’MIT. Subito, dalle colonne del Washington Post, i ricercatori si sono affrettati a smentire, dichiarando che se i paesi onorassero gli impegni presi, il global warming potrebbe rallentarsi in modo significativo (1,7 gradi Fahrenheit ). Tante le affermazioni fatte da the Donald e smentite dagli studi scientifici, non ultima quella relativa agli USA che ora vanno verso “un’aria e un’acqua più pulita”, ma lo Yale University’s Performance Index posiziona gli USA al 43^ posto per la qualità dell’aria e al 22^ posto per la salute dell’acqua fra 180 paesi. E infine, osserva il New York Times, Trump ha abbandonato l’accordo e proposto tagli ingenti per la protezione ambientale. Tuttavia, gli Stati Uniti non potranno uscire formalmente dagli accordi di Parigi fino al 4 novembre 2020, il giorno dopo le nuove elezioni presidenziali americane. E questo lascia tutte le prospettive aperte.