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Greenpeace denuncia: 45 ton di rifiuti italiani illegalmente “abbandonati” in Polonia

rifiuti italiani abbandonati
Credit: Greenpeace Italia

 

Si tratta, in prevalenza, di rifiuti plastici provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani italiani

(Rinnovabili.it) – Dopo la Turchia è il turno della Polonia: ancora una volta, Greenpeace denuncia il ritrovamento di rifiuti illegalmente scaricati in altri paesi. Una nuova indagine dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia condotta nel sud della Polonia ha infatti portato alla scoperta di 45 tonnellate di rifiuti italiani abbandonati sul retro di un ex distributore di benzina nell’area di Gliwice. Si tratta, in prevalenza, di rifiuti plastici riciclabili, sulla cui provenienza non ci sono dubbi: nelle balle di rifiuti si vedono chiaramente le etichette di noti prodotti italiani e – almeno in una, specifica l’associazione – l’etichettatura dell’impianto italiano della ditta Di Gennaro S.p.A., piattaforma di selezione della raccolta differenziata e degli imballaggi in plastica che da oltre un anno è al centro di un contenzioso tra Polonia e Italia.

 

Brevemente: a giugno 2018 l’Ispettorato generale per la protezione ambientale polacco (GIOS), in un dossier che ha condiviso con Greenpeace, contestava alle autorità italiane alcune anomalie nella spedizione dei rifiuti, facendo in particolare riferimento da una parte allo scarico degli stessi in un sito diverso da quello indicato nei documenti, cioè l’impianto di recupero GUM Recykling e, dall’altra, all’errata attribuzione del Codice Europeo del Rifiuto (CER). Per questi motivi, nel luglio e nel novembre 2018, l’ente polacco aveva inviato due lettere all’ente della Regione Campania (UOD Autorizzazioni Ambientali e Rifiuti di Napoli) presentando prova del “movimento transfrontaliero illegale di rifiuti dall’Italia alla Polonia”.

 

L’autorità italiana, tuttavia, ha negato qualsiasi responsabilità, specificando – si legge nel dossier polacco – che “i rifiuti sono stati recuperati secondo la legge”, mentre l’UOD ha negato “che ci sia alcuna prova ufficiale che la spedizione è stata eseguita illegalmente e che i rifiuti siano stati scaricati al di fuori dell’impianto di recupero”. Il contenzioso è dunque rimasto aperto: “sulla carta è previsto che chi produce un rifiuto debba anche avere comunicazione di come sia stato smaltito. E questo avviene sempre stando ai documenti. Ma un controllo di tutte queste fasi, non sempre c’è”, ha commentato Roberto Pennisi, Sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia. “Un controllo sul campo, come quello fatto da Greenpeace e non solo a livello di documenti, può rivelare dettagli importanti che potrebbe aiutare a risolvere questa disputa internazionale e recuperare, in modo corretto, rifiuti che oggi invece giacciono abbandonati nell’ambiente”.

 

Al di là del contenzioso, “ciò che abbiamo documentato in Polonia è inaccettabile e vanifica gli sforzi quotidiani di migliaia di cittadini nel separare e differenziare correttamente i rifiuti in plastica – ha commentato Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – Questo caso conferma ancora una volta che il sistema non riesce a gestire in modo appropriato l’enorme quantità di rifiuti in plastica. Riciclare non è la soluzione, è necessario ridurre subito la produzione a partire dalla frazione spesso di difficile riciclo, rappresentata dall’usa e getta.

 

Come accennato sopra, il caso della Polonia non è l’unico: l’ONG aveva infatti denunciato a settembre il ritrovamento di un sito illegale di stoccaggio di rifiuti in plastica, provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani italiani, in una fattoria nella provincia di Smirne, in Turchia, presentando denuncia penale alle autorità turche competenti.

Le indagini condotte da Greenpeace si contestualizzano all’interno del rapporto diffuso lo scorso aprile “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica”, attraverso il quale l’ONG cerca di individuare ed analizzare quali percorsi seguono le 197mila tonnellate di rifiuti di plastica che il nostro Paese produce ma non è in grado di smaltire in autonomia.

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