Si apre oggi, nella capitale del Qatar, il 18° summit mondiale sul clima delle Nazioni Unite. All'ordine del giorno, le regole per un Kyoto-bis, i nuovi fondi verdi e il testo per l'accordo globale del 2020
L’ALLARME SCIENTIFICO Secondo l’ultimo rapporto Trends in global CO2 emissions pubblicato a luglio dal Joint Research Centre della Commissione Europea e dall’Agenzia per l’ambiente olandese, malgrado gli sforzi di riduzione promessi da molti paesi industrializzati e la fase di bassa crescita frutto della crisi economica, le emissioni di CO2 sono cresciute su scala globale anche nel 2011, facendo segnare un deciso +2,7%. Valutazioni poco rassicuranti arrivano anche dalla World Meteorological Organization che nell’ultimo bollettino avverte come tra il 1990 e il 2011 si sia verificato un incremento del 30% dell’influenza della CO2 antropica nell’atmosfera. E a mettere in guardia dagli effetti negativi di un clima fuori controllo è anche il nuovo rapporto “Turn Down the Heat” commissionato dalla Banca Mondiale al Potsdam Institute for Climate Impact Research and Climate Analytics: il Pianeta è sulla buona strada per raggiungere un aumento della temperatura di 4° C entro il 2100, condannando le nuove generazioni ad un futuro di ondate di calore estreme, scorte alimentari in calo, perdita di ecosistemi e biodiversità, e un aumento del livello del mare incompatibile con la vita. La raccomandazione di questi e altri report sui generis è sempre e soltanto una sola: concertare un’azione ambiziosa, repentina e condivisa da tutte le parti in gioco per mantenere la Terra sotto il celebre tipping point dei 2°C di aumento della temperatura mondiale.
GLI OBIETTIVI DI DOHA Il nuovo vertice dell’Unfccc offrirà a ministri e delegati l’occasione di discutere e pianificare per la prima volta le attività da realizzare nel quadro dei due filoni di lavoro della piattaforma di Durban: porre le fondamenta del nuovo accordo sul clima applicabile a tutti i paesi e l’individuare di nuove e ulteriori misure taglia CO2 per restringere il divario tra impegni di emissione al 2020 e ciò che è necessario per mantenere il limite dei 2 °C di riscaldamento. A ciò si aggiunge il lavoro destinato a finalizzare le regole per l’adozione di un Kyoto-bis, trasformando le indicazioni dei Governi in veri e propri target di riduzione, a ridefinire quelle di alcuni meccanismi taglia emissioni, e a predisporre i nuovi ‘fondi climatici’ ora che è terminato il programma di finanziamento Fast Start.
La Russia continua a non esporsi, mentre India e Cina (il più importante emettitore di carbonio al mondo) continuano a voler una linea di demarcazione netta tra i paesi sviluppati e in via di sviluppo in termini di obblighi climatici e vincoli emissivi. Xie Zhenhua capo negoziatore per la Repubblica Popolare ai dialoghi Onu, ha tenuto a ribadire la scorsa settimana come il Governo non sia intenzionato ad agire prima che il Pil pro capite (oggi a 5000 dollari l’anno) raggiunga circa la metà di quello dei Paesi occidentali nel momento in cui erano al picco delle emissioni (40-50mila dollari l’anno).
Della partita per ora sono solo i 27 Stati Membri UE, Svizzera, Norvegia e Australia che significherebbe però riuscire ad ottenere, con l’estensione del Protocollo, un impegno su solo il 15% delle emissioni globali. Inoltre il consenso è subordinato al raggiungimento di un accordo su alcuni aspetti ancora irrisolti: la durata della seconda fase (l’Unione Europea intende estenderla fino al 2020), la possibilità di riportare le emissioni in eccesso dalla prima e gli accordi che garantiscano l’applicazione immediata della modifica del 1° gennaio 2013.