Il referendum sulle trivelle non raggiunge il quorum, l’affluenza si ferma al 32%. I Sì sono 13 milioni, un patrimonio da valorizzare
(Rinnovabili.it) – Nonostante la televisione abbia diffuso informazioni false e parlato di trivelle con il contagocce.
Nonostante il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la prima volta non abbia incoraggiato la partecipazione e si sia recato a votare dopo le 20,30 per evitare di finire nei titoli dei TG.
Nonostante il presidente del Consiglio Renzi, il ministro dell’Ambiente Galletti, l’ex presidente della Repubblica Napolitano e uno stuolo di altri esponenti delle istituzioni abbiano invitato gli italiani a boicottare il referendum.
Nonostante le lobby dell’Oil&Gas abbiano costruito un comitato per il NO che ha diffuso informazioni populiste e ambigue.
Nonostante tutto questo, 15 milioni di persone in tutto il Paese hanno partecipato ad una consultazione difficile (circa 12,8 hanno votato Sì), azzoppata dal colpo di mano del governo a fine dicembre. La parte di Italia più attiva socialmente, sensibile ai problemi ambientali e alla «cura della casa comune», ha voluto dare un messaggio al governo: il tema dell’energia non può essere ad esclusivo appannaggio di un élite, per giunta priva del mandato popolare.
Ma nonostante questo, il referendum si è fermato a un 32,15% di affluenza, con circa l’86.43% dei Sì. Solo la Basilicata, che affaccia sul mare solo per un piccolo tratto, ma che in terra è violentata dalle trivelle e dal malaffare legato al mondo del petrolio, ha superato il quorum (50,17%). Ad ostacolare la piena espressione democratica non c’è stata soltanto la difficoltà di voto in tante città, come Bologna, Cagliari, Roma, Napoli, dove centinaia di persone sono state vittima di imperdonabili ritardi nella consegna delle tessere elettorali. Al netto degli astenuti che hanno deciso di raccogliere l’invito di Renzi, c’è un’Italia immobile, impastoiata nella quotidianità e avulsa dalle dinamiche politiche, che frena la volontà di partecipazione e di cambiamento di milioni di persone.
Eppure, una crepa nel muro dell’apatia, cementato dalle istituzioni ad ogni pie’ sospinto, si è aperta. Per la prima volta, l’Italia ha dato un segnale deciso sul tema dei combustibili fossili: tanti cittadini sono pronti a rinunciare a queste fonti di energia inquinanti, ad alta intensità di capitale e a bassa intensità di lavoro.
«La nostra vittoria è stata far parlare il Paese delle scelte energetiche del governo – ha commentato il Comitato promotore – Non si potrà più tornare indietro».
Da qui ai referendum costituzionali di ottobre, ci sarà tempo per aiutare il pubblico a costruirsi un’opinione ragionata su temi che l’esecutivo ha cercato di eliminare dal dibattito e dal negoziato politico. Allora sarà una battaglia diversa e dai risvolti ben più pericolosi per il presidente del Consiglio, che ad essa ha legato il suo destino.
Intanto, dal momento che la consultazione di ieri non ha raggiunto il quorum, l’Italia rischia seriamente una procedura di infrazione europea. Estendere virtualmente per sempre le concessioni entro le 12 miglia marine, infatti, potrebbe essere un atto contrario alla direttiva europea sulla libera concorrenza. Anche il 68% degli elettori che non ha esercitato il proprio diritto potrebbe presto essere costretto a pagare lo scotto di questa astensione.
«Il Governo toglie a molti per concedere per sempre, a pochi privilegiati, vaste aree del nostro mare – è la nota del Coordinamento nazionale No Triv – Di fronte ad un’evidente violazione del diritto di libera concorrenza, l’Unione europea interverrà sanzionando l’Italia e a pagare saranno gli italiani».
Da oggi i lavori dei movimenti ripartono: «innanzitutto con la messa in mora del Ministero dello Sviluppo economico rispetto alle concessioni scadute prima del 31/12/2015, che dovranno cessare la loro attività immediatamente e, in seconda battuta, con una nuova richiesta di moratoria delle attività estrattive, sull’esempio di Francia e Croazia, in attesa di una completa riforma della Strategia Energetica Nazionale».