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Spreco alimentare: adesso basta

Circa un terzo degli alimenti prodotti a livello globale viene sprecato. Il Ministro Andrea Orlando ha composto un comitato di indirizzo per passare dalla denuncia alle azioni

Spreco alimentare: adesso basta

 

(Rinnovabili.it) – Riuso, risparmio, filiere corte e controllate. Sono le parole d’ordine lanciate da molti partecipanti alla “Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare”, tenutasi oggi a Roma su iniziativa del Ministero dell’Ambiente. Nel tempio di Adriano, in piazza di Pietra, si sono incontrati più di cento Enti, Associazioni, imprese e organizzazioni. I lavori della consulta sono stati propedeutici alla stesura del Pinpas, il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare.

Il progetto sarà presentato in primavera e si inserisce nel più generale programma nazionale per la prevenzione dei rifiuti, adottato dal Ministero con decreto del 7 ottobre 2013. L’obiettivo, ambizioso, è quello di dimezzare gli sprechi italiani nel prossimo decennio. Per raggiungerlo, il ministro Andrea Orlando ha nominato un comitato di indirizzo, composto da personalità molto diverse fra loro: dalla scrittrice Susanna Tamaro allo scienziato Vincenzo Balzani – membro del nostro Comitato scientifico – dalla regista Maite Carpio all’attore e scrittore Giobbe Covatta. Tutti coordinati dal professor Andrea Segrè, ordinario di politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna. Segrè è anche il presidente di Last Minute Market, società costola dell’ateneo emiliano nata nel ’98 per svolgere attività di ricerca e poi trasformatasi in una realtà imprenditoriale autorevole che opera sul territorio nazionale. La sua mission è quella di analizzare ogni step delle filiere agroalimentari e raccogliere dati, individuando le sacche di spreco e le meccaniche che le generano. Il metodo di LMM verrà adottato dalla task force nominata dal ministero per la redazione del Pinpas: si tenterà di avviare un confronto sugli sprechi alimentari lungo tutta la filiera, per poi intervenire in maniera mirata nella loro riduzione. I prossimi appuntamenti utili a testare i progressi di Segrè e dei suoi, saranno la fiera Ecomondo di Rimini (5-8 novembre) e poi un nuovo incontro fra 12 mesi, il 5 febbraio 2015.

 

La sfida sarà far dialogare produttori, distributori e consumatori. Cosa non facile a giudicare dalla scaramuccia che ha visto protagonisti Luigi Tozzi di Confagricoltura e Giovanni Cobolli Gigli di Federdistribuzione, ciascuno a evidenziare le responsabilità dell’altro nelle inefficienze del sistema.

 

L’esigenza di porre mano al problema con urgenza, comunque, è avvertita anche a livello europeo. Eppure anche qui siamo poco più in là delle buone intenzioni. Il Parlamento europeo ha adottato soltanto una risoluzione, il 19 gennaio 2012, con cui si propone di ridurre la dissipazione di cibo del 50% entro il 2025 e di eleggere il 2014 anno europeo contro lo spreco alimentare. I rappresentanti di Last Minute Market, durante il convegno, hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di norme più specifiche. Basti pensare che manca ancora una definizione comune del concetto di spreco alimentare. Serve cioè un sistema condiviso per rilevare il fenomeno. Verso questa direzione sembra muoversi Fusions (Food Use for Social Innovation by Optimizing waste prevention Strategies), il progetto europeo di ricerca che affronta il tema degli sprechi. È portato avanti da un network cui aderiscono, per ora, 12 paesi, che ha l’intento di individuare soluzioni comuni per ridurre e prevenire lo spreco.

 

Andrea SegrèUno spreco i cui numeri provocano, come sempre, una fitta al cuore: secondo la Fao, circa un terzo di quanto produciamo a livello globale viene sprecato, ovvero 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Nei paesi industrializzati il 45% della frutta che produciamo finisce nel cestino, mentre lo spreco di carne, prodotti lattiero-caseari e altri alimenti sta fra il 20 e il 30%. La sola Ue a 27 dilapidava, nel 2010, 89 milioni di tonnellate di cibo l’anno e uno studio del Wrap (Waste Resources Action Program) prevede che nel 2020 saliranno a 126 milioni. Il nostro paese non fa eccezione: lo rileva Last Minute Market ed Swg, in una ricerca condotta lo scorso anno su un panel di 2000 famiglie. La società ha mappato i prodotti più sprecati dagli italiani; fra quelli da non cuocere, la frutta occupa il primo posto: il 50% finisce nella spazzatura. La pasta (9%) invece è in vetta alla classifica dei cibi cotti. Solo per produrre il cibo che spreca, inoltre, l’Italia utilizza ogni anno – secondo il WWF – 1226 milioni di  metri cubi d’acqua e 24 milioni di tonnellate di CO2.

 

Per dar vita ad un’inversione di tendenza serve un deciso cambio di paradigma, iniziando dalla messa in discussione di concetti ormai radicati nel pensiero comune: è quanto sostenuto da Vincenzo Balzani, professore emerito di Chimica all’Università di Bologna e membro del comitato di indirizzo. «Le risorse del pianeta sono limitate, la crescita non può basarsi su un perenne aumento dei consumi. La terra è uno spazio finito, basta con le teorie dello sviluppo illimitato: non sono più attuali».

Non solo. Secondo lo scienziato un rimedio cardine sta nel cambiare radicalmente il nostro modo di mangiare: «Un terzo del terreno coltivabile serve a nutrire animali che vengono trasformati in carne. Lo spreco comincia dalla dieta. Dobbiamo orientarci verso una dieta vegetariana, e perciò resta molto da fare nel campo dell’educazione alimentare».

 

Le soluzioni proposte, dunque, prevedono un’azione “a monte”, una presa di coscienza collettiva in grado di dar vita a un distacco dal modello attuale. Lo sottolinea il coordinatore della task force, Andrea Segrè: «Bisogna attivarsi per non sprecare, non è sufficiente pensare solo di aumentare la produzione agricola per sfamare un maggior numero di persone. È importante muoversi lungo più direttrici».

La giornata si è chiusa con l’intervento del ministro Andrea Orlando: «Le disparità fra chi soffre la fame da una parte, e la società opulenta e sprecona dall’altra, ci pongono un interrogativo etico – ha detto – possiamo fare di più sprecando di meno?  Per rispondere sì è necessario adottare buone pratiche collettive. In questo processo, pubblico e privato devono collaborare, e questo è lo spirito del Pinpas».