Dall’inizio dell’anno, un’ondata di nuove ricerche sullo stato del clima sta tracciando un quadro ben peggiore di quello che avevamo al 2015
(Rinnovabili.it) – I nodi stanno venendo al pettine, e per giunta con una rapidità che dovrebbe preoccupare tutti noi. Man mano che si aggiornano gli studi sul clima, emerge sempre più una realtà diversa e peggiore rispetto alle previsioni su cui si sono basati i legislatori di tutto il mondo per organizzare la risposta al riscaldamento globale.
Oggi, un nuovo lavoro pubblicato da due team statunitensi su Nature, afferma che l’aumento del livello dei mari sarebbe stato ampiamente sottostimato dall’ultimo rapporto delle Nazioni Unite. Secondo l’IPCC, il panel internazionale che produce le valutazioni utilizzate dall’ONU, gli oceani potrebbero salire al massimo di 52-98 centimetri entro il 2100. Il nuovo studio suggerisce che l’aumento reale potrebbe essere di 1,5 metri, una minaccia ancora maggiore per megalopoli come New York e Shanghai.
Uno dei fattori che sarebbero stati sottovalutati dai rapporti delle Nazioni Unite – convinti che il ghiaccio antartico rimarrà per la gran parte intatto – è un processo noto come hydro fracturing. Esso si verifica quando enormi pozze d’acqua, formatesi per il disgelo estivo, penetrano in profondità nelle crepe delle piattaforme di ghiaccio. Qui tornano a congelarsi, aumentando il volume e allargando le fratture. Tutto ciò aumenta le probabilità del distacco di gigantesche lastre di ghiaccio dal continente. Lastre che poi si sciolgono in mare causando un aumento dei suoi livelli che non era stato previsto.
Dall’inizio del 2016 è stato tutto un fiorire di nuove ricerche che tracciano un quadro ben più inquietante di quello che eravamo abituati a considerare fino a pochi mesi fa. Secondo un articolo dell’International Institute for Applied Systems Analysis, pubblicato a febbraio su Nature, fino ad oggi abbiamo sbagliato a calcolare la quantità di CO2 che l’umanità può ancora emettere in atmosfera prima di oltrepassare la soglia critica dei 2 °C. Se il ritmo di crescita delle emissioni rimane inalterato, entro il 2050 avremo consumato il nostro carbon budget. L’analisi è condivisa anche dalla Concordia University, che a gennaio è giunta a conclusioni simili. La rivista Plos One ha ospitato pochi giorni fa un contributo ancor più catastrofico, firmato da due ricercatori australiani. Essi sono convinti che la soglia dei +2 °C rispetto al periodo antecedente la rivoluzione industriale verrà sfondata già nel 2030.
Per il momento sospendiamo il giudizio sui risultati letteralmente apocalittici raggiunti una settimana fa da James Hansen (Columbia University), che hanno scatenato un dibattito di rara intensità nel mondo scientifico. La sua ricerca, infatti, sostiene che entro 50 anni vedremo un aumento del livello dei mari tale da sommergere tutte le città costiere del mondo. Questo significa che i margini per adattarsi a simili rischi sono quasi nulli.