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Dopo la Consulta, serve un ultimo ricorso per fermare le trivelle

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi due commi dell'art. 38 dello Sblocca Italia. Le Regioni ora hanno tempo fino al 1 agosto per impugnare anche il disciplinare tipo del MiSE e vincere la battaglia sulle trivelle.

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Sblocca Italia azzoppato dalla Corte, ora le nuove trivelle sono a rischio

 

(Rinnovabili.it) – Un’altra batosta azzoppa lo Sblocca Italia, mentre suonano le campane a morto per il decreto disciplinare del Ministero dello Sviluppo Economico che avrebbe potuto favorire l’installazione di nuove trivelle nelle acque territoriali italiane. Con sentenza del 12 luglio, la Corte Costituzionale ha dato in parte ragione alle Regioni Abruzzo, Veneto, Puglia, Marche e Lombardia, che ritenevano illegittime alcune disposizioni d.l. n. 133 del 2014. In particolare, i giudici hanno dichiarato incostituzionale il comma 7, relativo al titolo concessorio unico e alle modalità di svolgimento delle attività petrolifere come disciplinate dal recente “disciplinare tipo”, perché non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni. Ha violato la carta anche il comma 10, relativo ai progetti petroliferi sperimentali in mare: aveva concesso al Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto il Ministero dell’Ambiente, di autorizzare progetti sperimentali di ricerca e coltivazione di idrocarburi per un periodo fino a cinque anni in zone di mare dentro le 12 miglia. Anche in questo caso, dunque, il parere delle Regioni sarebbe stato un pro forma, acquisito il quale nulla avrebbe vietato ai ministeri di tirare dritto.

Esulta il Veneto, che ha battagliato molto per salvare la Laguna di Venezia – già afflitta da fenomeni di subsidenza – da progetti sperimentali nel settore oil&gas che potrebbero aggravare ulteriormente la situazione. Subisce invece un duro colpo il governo Renzi, promotore dello Sblocca Italia e ora in difficoltà a giustificare un provvedimento denso di forzature della Costituzione rilevate dalla Consulta.

 

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Ma c’è un’altra bomba a orologeria per l’esecutivo, innescata dalla sentenza del 12 luglio: il disciplinare tipo del MiSE  – pubblicato in Gazzetta lo scorso 3 aprile – che dovrebbe  regolamentare il rilascio dei titoli per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, potrebbe essere neutralizzato se entro il 1 agosto una Regione decidesse di impugnarlo con un ricorso straordinario dinanzi al Capo dello Stato. La probabile illegittimità deriva dal fatto che questa sentenza critica anche il disciplinare, perché pur regolando «le modalità di esercizio delle attività rientranti nelle materie di competenza concorrente» non prevede una intesa con la Regione.

trivelleLe criticità del decreto erano già state evidenziate da Enzo Di Salvatore, Costituzionalista ed estensore dei quesiti che hanno portato al referendum No Triv del 2016. «Il disciplinare tipo del Ministero dispone espressamente che l’intesa delle Regioni debba essere acquisita in Conferenza di Servizi – ha spiegato il professore in un’intervista a Rinnovabili.it – Questo comporta che le Regioni siano trattate alla stregua di una qualsiasi pubblica amministrazione, chiamate ad esprimere un parere meramente tecnico sulle carte. Invece, l’intesa è un atto autonomo e con un contenuto politico».

Oltre a relegare le Regioni a semplici passacarte, il provvedimento «rende possibile apportare modifiche al programma dei lavori che siano funzionali al recupero delle riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al completamento della coltivazione. In pratica, nero su bianco, ci dicono che le compagnie possono non solo piazzare nuove piattaforme se il programma originario lo prevede, ma addirittura modificare il programma di concessioni già ricevute o prorogate».

C’è ancora tempo, insomma, per fermare l’installazione di nuove piattaforme petrolifere entro le 12 miglia. E dopo il pronunciamento della Consulta, sarebbe davvero strano se nessuna Regione lo facesse.