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Salvare le terre aride dalla desertificazione è una priorità assoluta

Ospitano metà dei sistemi agricoli globali, forniscono cibo a miliardi di persone e assorbono il 36% della CO2. Per questo le terre aride non devono morire

terre aride

 

Oggi un terzo delle terre aride rischia la desertificazione

 

(Rinnovabilil.it) – Coprono il 41% della superficie globale sopra il livello del mare, ospitano un terzo della popolazione e assorbono il 36% del carbonio. Non solo, ma su di esse si sviluppa il 44% dei sistemi agricoli e viene allevato il 50% del bestiame. Sono le terre aride, habitat che comprendono le savane, le foreste nebbiose e le oasi. Un patrimonio inestimabile per l’umanità e la biodiversità nel suo complesso, poiché cibo e acqua derivanti da queste zone sostengono la vita di miliardi di esseri viventi su scala locale. Ma le terre aride del mondo stanno vivendo un forte stress, dovuto alle attività antropiche e al riscaldamento globale. Se gli stati non investiranno risorse per la conservazione di questi habitat fondamentali, il servizio che esse svolgono verrà costantemente meno, compromettendo fra l’altro gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU.

Conscia di questo rischio, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha suonato l’allarme, con l’intento di sollecitare i delegati presenti alla 13esima sessione della Conferenza le parti della convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD COP13), che si apre oggi a Ordos, in Cina.

 

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Il degrado del suolo, noto appunto come desertificazione, potrebbe comportare un calo del 12% della produzione alimentare globale nei prossimi 25 anni. Potrebbe anche contribuire alle emissioni globali di terre arideCO2, perché i suoli degradati perderebbero circa il 60% della loro capacità di stoccaggio del carbonio. Le stime dell’IUCN dicono che già oggi siano in fase di desertificazione tra il 25 e il 35% delle terre aride, il che compromette la loro produttività. Oltre 250 milioni di persone sono direttamente colpite dal fenomeno, che ne mette a rischio un ulteriore miliardo in oltre 100 paesi.

L’unica risposta è investire nell’agricoltura di piccola scala, sostenibile e diversificata. Alcune pratiche tradizionali di coltivazione sviluppate dalle comunità che vivono in queste aree permettono la minimizzazione della lavorazione dei suoli e la piantumazione di alberi accanto alle colture, con lo scopo di conservare l’umidità e la materia organica nel terreno. Con la gestione sostenibile dei suoli, dice l’organizzazione, la produzione di cibo potrebbe aumentare fino al 58% e i pascoli potrebbero sequestrare fino a 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica entro il 2030. Ma se le comunità locali non verranno nuovamente supportate con risorse e politiche d’appoggio, tutto questo scenario rimarrà soltanto sulla carta.