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Cambiamento climatico: quale futuro per il nostro pianeta?

riscaldamento globale

 

 

(Rinnovabili.it) – Da qualche tempo, il riscaldamento globale è diventato argomento di attenzione per la pubblica opinione, anche perché i suoi effetti stanno diventando sempre più evidenti. Particolare attenzione e aspettative ci sono in questi giorni per gli esiti della conferenza COP24, che però non sembra produrre i risultati sperati e gli obiettivi prefissati dal rapporto dello scorso ottobre dell’Intergovernmental Panel for Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite. Il rapporto evidenzia infatti le necessità e gli sforzi richiesti all’umanità per il rispetto degli Accordi di Parigi del 2015: ovvero per mantenere la temperatura globale entro 2°C di riscaldamento rispetto ai valori antecedenti la rivoluzione industriale o, meglio, entro 1,5°C di aumento.

 

Senza cadere nel catastrofismo, il riscaldamento globale e i rischi associati richiedono azioni molto importanti e il tempo disponibile è molto limitato. In passato, molte occasione sono state perse e il riscaldamento globale è già consistente e in massima parte attribuibile all’aumento di concentrazione dei gas serra (anidride carbonica, metano, black carbon e ossidi di azoto) dovuta principalmente all’uso dei combustibili fossili. Ad esempio, la concentrazione di CO2 è ormai al di sopra di 410 parti per milione in atmosfera rispetto al valore pre-industriale di circa 280 ppm.

 

I risultati della ricerca scientifica dimostrano inequivocabilmente che la temperatura media annuale nel periodo 2005-2016 è stata di circa 1°C maggiore rispetto al periodo 1890-1899. Questo ha comportato l’aumento dei periodi molto caldi, la modificazione della distribuzione delle precipitazioni, l’aumento della frequenza di eventi estremi, maggiori rischi di desertificazione, l’aumento del livello del mare causato dalla fusione dei ghiacci. Ad esempio, il ghiaccio della banchisa artica si è ridotto di circa il 45% dal 1979 ad oggi e questo innesca una retroazione positiva, quindi con ulteriore riscaldamento, dovuta al maggiore assorbimento della radiazione solare da parte del mare e del suolo nudo rispetto alle superfici riflettenti di ghiacci e neve.

Un impatto rilevante del riscaldamento globale si ha su ecosistemi e biodiversità, in aggiunta alle azioni dirette dell’uomo che hanno provocato una perdita notevolissima di specie viventi.

 

In questo quadro, va tenuto conto che in alcune regioni del pianeta (es. Artico e Mediterraneo) gli effetti sono molto più rilevanti rispetto alle medie globali. Nella regione Mediterranea la temperatura media annuale è aumentata maggiormente, di circa 1,5°C, rispetto alla media globale e altri parametri climatici come eventi estremi e ondate di calore sono divenuti più accentuati e più frequenti. Ciò ha prodotto una maggiore frequenza degli incendi e maggiore siccità, sia estiva che autunno-invernale. La necessità quindi di stabilizzare il clima è ancor più marcata.

Infatti, se da un lato è vero che il clima del pianeta ha subito variazioni durante milioni di anni del passato, solo con la relativa stabilità climatica nell’Olocene, cioè negli ultimi diecimila anni, con variazioni di temperatura media globale contenute entro 1°C, l’umanità ha trovato condizioni idonee a svilupparsi, con il passaggio all’agricoltura e la nascita delle civiltà. L’umanità ha quindi bisogno di questa stabilità e deve evitare ciò che oggi sta avvenendo con il riscaldamento rapidissimo e senza precedenti nella storia geologica del pianeta.  Stiamo cioè spingendo il pianeta fuori dall’Olocene, in quello che è stato denominato Antropocene, ovvero l’epoca geologica determinata dalle attività umane, con temperature in forte aumento e rapida scomparsa dei ghiacciai permanenti.

 

Per invertire questo processo occorre procedere rapidamente alla decarbonizzazione del sistema energetico e alla conversione verso l’economia circolare e la bioeconomia. Le problematiche che si pongono sono enormi e coinvolgono sfide per l’umanità senza precedenti. Comunque, anche se queste politiche fossero attuate rapidamente, per l’inerzia del pianeta, il riscaldamento causato dalle emissioni antropogeniche continuerà nel futuro e molto a lungo.

 

I rischi e gli impatti del cambiamento climatico saranno molto più elevati per un riscaldamento di 2°C rispetto a 1,5°C: infatti 0,5°C non è una piccola variazione e comporta notevoli maggiori problematiche, come aumenti di temperatura media, alte temperature estreme, precipitazioni molto forti in alcune regioni, aumento della siccità, innalzamento e acidificazione degli oceani.

Gli impatti negativi sulla biodiversità e sugli ecosistemi sono molto forti con modifiche accentuate e già in atto sulla flora e sulla fauna.

 

Per riuscire a limitare il riscaldamento entro 1,5°C, le emissioni dovranno diminuire del 45% entro il 2030, rispetto ai valori del 2010, e raggiungere zero netto di emissioni entro il 2050. Invece, per ridurre il riscaldamento entro i 2°C si dovrebbero attuare misure più lente, ovvero riduzioni del 20% entro il 2030 e zero emissioni nette entro il 2075, ma con maggiori investimenti per fronteggiare i maggiori impatti.

Tutte le strategie per limitare il cambiamento climatico entro i limiti citati prevedono l’utilizzazione di tecnologie di geo-ingegneria e tecnologie che consentono emissioni negative come CDR (rimozione di CO2) e BECCS (bioenergie con cattura e stoccaggio di carbonio). Tanto più si ritarderanno le azioni di riduzione delle emissioni e tanto più importanti e a grande intensità dovranno essere gli interventi di CDR e BECCS per riportare la concentrazione di gas serra entro i limiti. E’ evidente che oltre alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili si dovrà fare ricorso a bioeconomie, a riforestazione e afforestazione per aumentare il sequestro fotosintetico di carbonio. Ovviamente, le emissioni degli altri gas serra dovranno subire riduzioni simili alla CO2.

 

Il grosso nodo per raggiungere l’accordo riguarda ovviamente l’aspetto finanziario: chi paga per le azioni di decarbonizzazione, mitigazione e adattamento? Ovviamente i Paesi in via di sviluppo non possono pagare per sanare i danni causati da altri (prevalentemente USA e Europa). Inoltre, gli impatti maggiori del cambiamento climatico ricadono frequentemente proprio sui Paesi più deboli (Piccole isole, Artico, Africa, ecc.).  Occorrerebbe quindi che i paesi più industrializzati e che hanno sfruttato maggiormente i combustibili fossili sostenessero in buona parte questi costi.

Invece sono proprio questi che sono contrari all’accordo e non hanno accettato di sostenere e adottare il rapporto dell’IPCC e questo è un vero problema per il pianeta.

 

Il cambiamento climatico procede a grande velocità e non è più possibile rinviare le decisioni per la riduzione delle emissioni, la riconversione energetica ed economica e combattere povertà e disuguaglianze. Il problema non è più solo ambientale, ma riguarda società ed economie che verranno fortemente danneggiate dal riscaldamento globale. Le economie e gli investimenti si stanno muovendo in tal senso, la politica è invece troppo lenta a causa di alcuni Paesi.

Limitare il riscaldamento entro 1,5°C o al massimo 2°C, consentirà non solo di limitare gli impatti e gli investimenti conseguenti per l’adattamento, ma produrrebbe forti vantaggi economici ai fini dello sviluppo sostenibile, della crescita economica e della lotta alla povertà.

Se invece si dovesse procedere con i ritmi attuali di crescita delle emissioni di gas serra ci troveremmo a fine secolo con un riscaldamento globale di 5°C e oltre, insostenibile per l’umanità e per l’economia.