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Il riscaldamento globale colpirà la produzione di cibo

Una ricerca internazionale mette in guardia sul calo della produzione mondiale di cibo del 18% a causa del riscaldamento globale

Il riscaldamento globale colpirà la produzione di cibo

 

(Rinnovabili.it) – Il riscaldamento globale potrebbe causare un calo della produzione mondiale di cibo del 18 per cento entro il 2050. Lo rileva una ricerca pubblicata ieri sulla rivista Environmental Research Letters. Ma gli investimenti in irrigazione e infrastrutture, unita allo spostamento della produzione in altre regioni, potrebbe ridurre le perdite. Secondo i ricercatori, i sistemi di irrigazione dovrebbero essere ampliati del 25 per cento per far fronte alla diminuzione delle precipitazioni. Ma dove? Difficile da prevedere. Non sono ancora chiari gli scenari di cambiamento in questo campo, cioè non si sa ancora con precisione dove calerà il livello delle piogge, per cui la maggior parte degli investimenti in impianti di irrigazione dovrebbe essere fatta dopo il 2030.

 

«Se non si pianifica con attenzione dove spendere le risorse, si otterrà l’adattamento sbagliato – spiega David Leclere, uno degli autori dello studio – Bisognerà mettere in piedi filiere produttive in zone dove l’agricoltura era in precedenza assente o minoritaria, al fine di espandere la produzione».

Secondo lo studio i mercati internazionali del cibo richiedono una maggiore integrazione per rispondere al riscaldamento globale: la produzione diventerà più difficile in alcune regioni meridionali, ma nuove terre più a nord diverranno disponibili per la coltivazione.

Se il cambiamento climatico sarà gestito correttamente, sostengono gli esperti, la produzione alimentare potrebbe addirittura salire del 3 per cento entro il 2050, dato che una maggiore concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera ha un effetto fertilizzante sulle piante.

Sulla base dei modelli utilizzati dalla ricerca, Leclere prevede che la produzione aumenterà in Europa, mentre gran parte dell’Africa rimarrà dipendente dalle importazioni.

 

Resta da vedere come chi tira i fili del mercato vorrà governare il cambiamento. Sono infatti soltanto 10 persone a controllare il 70 per cento di quello che mangiamo. Da Kellog’s a Coca Cola, da Nestlè a Unilever, i “signori del cibo” gestiscono oltre 500 marchi, che a prima vista ci sembrerebbero a sé stanti. Non è così: hanno stretto accordi con il manipolo di burattinai che è in grado di condizionare le politiche alimentari di tutto il pianeta. Ed è per questo che la fame nel mondo non è un fatto accidentale, ma di mera convenienza economica. Così come la fatica dell’affermazione di una agricoltura biologica e di piccola scala, da cui derivano prodotti migliori e più salutari. Ma non solo: è perfettamente in grado di competere con l’agricoltura tradizionale sul versante della produttività, almeno secondo una recente analisi comparativa dell’Università di Berkeley. Ma poi le grandi aziende a chi venderebbero tutti i pesticidi prodotti?