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Riscaldamento globale: nel 2050 stravolgerà l’80% degli oceani

L’aumento delle temperature e il processo di acidificazione aumenteranno la pressione sugli ecosistemi marini, che non avranno abbastanza tempo per adattarsi

Riscaldamento globale: nel 2050 stravolgerà l’80% degli oceani

 

(Rinnovabili.it) – Il riscaldamento globale metterà a rischio l’80% degli ecosistemi marini entro il 2050 se le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare. Due i fenomeni coinvolti. Da un lato l’aumento della temperatura degli oceani, che modifica gli ambienti acquatici sottoponendoli a forte stress. Dall’altro il processo di acidificazione, dovuto al maggior assorbimento della CO2 da parte delle acque, che oggi interessa già il 10% degli oceani. Ma già entro i prossimi 15 anni stravolgeranno più della metà degli ambienti marini.

Riscaldamento globale: nel 2050 stravolgerà l’80% degli oceaniLe conseguenze di questi cambiamenti repentini sarebbero catastrofiche per gran parte degli ecosistemi, avvertono gli autori dello studio pubblicato sulla rivista Nature Communications. Sotto gli occhi abbiamo la situazione della Grande Barriera Corallina australiana, colpita l’anno scorso dal peggiore fenomeno di sbiancamento dei coralli della sua storia, che in questi mesi è nuovamente sotto stress a causa delle ripetute ondate di calore che hanno caratterizzato l’estate australe. Un quarto dei coralli è già morto e una percentuale molto maggiore è a rischio quest’anno, così come lo sono alghe e pesci che vivono in quegli ecosistemi.

Ciò che accade in Australia potrebbe diventare la norma per i quattro quinti degli oceani, spiegano i ricercatori. Uno stop alle emissioni e quindi al riscaldamento globale di origine antropica consentirebbe alle forme di vita marine di avere più tempo per adattarsi ad un ambiente più caldo, oppure di migrare verso le acque più fredde dei poli. A questo riguardo, centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi permetterebbe di limitare gli effetti del riscaldamento globale a “solo” un terzo degli oceani. Se ciò non accadesse, gli scienziati stimano che le conseguenze potrebbero colpire circa 1 miliardo di persone, la cui dieta si basa sulla pesca come prima fonte di proteine. Ad ogni modo, gli effetti su alcune specie marine – aragoste, aringhe, squali e balene – restano ancora sostanzialmente difficili da comprendere appieno.