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La tariffa rifiuti a 300 euro a famiglia, in Campania la spesa più alta

Il nuovo rapporto di Cittadinanzattiva racconta di un divario, anche su questo versante, tra aree del Paese, sintetizzato dalla differenza di 91 euro. Al Nord si paga meno e al Sud dove il servizio di raccolta di differenziata non funziona i costi sono più alti. In Trentino Alto Adige la tariffa più bassa. A Catania invece schizza a oltre 500 euro all’anno

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Foto di analogicus da Pixabay

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – È di 300 euro la tassa per i rifiuti pagata in media nel 2020 da una famiglia nel nostro Paese; cifra rimasta invariata rispetto all’anno precedente. La regione con la spesa più elevata resta la Campania con 419 euro, in leggera discesa dello 0,4% rispetto al 2019. Mentre la spesa media più bassa è in Trentino Alto Adige con 193 euro, dove si registra anche un incremento dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Questa la fotografia scattata da Cittadinanzattiva con i nuovi dati per il 2020 sui costi sostenuti dai cittadini per lo smaltimento dei rifiuti, che raccontano come a livello nazionale la tariffa rimane sostanzialmente invariata, mentre sul piano territoriale ci sono incrementi in 10 regioni, e diminuzioni in 6. Non solo. Anche su questo versante è evidente il divario, a parti capovolte, tra Nord e Sud. La differenza è sintetizzata dalla cifra di 91 euro; una somma che il Sud paga in più rispetto al Nord, cioè un’area del Paese dove il servizio non funziona come dovrebbe.

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Dall’analisi – messa a punto grazie alla rilevazione annuale dell’Osservatorio prezzi e tariffe (disponibile on-line, sul sito ‘cittadinanzattiva.it’) e costruita prendendo in considerazione come riferimento nel 2020 una famiglia tipo composta da tre persone, e una casa di proprietà di 100 metri quadrati – emerge che a fronte di una tariffa media nazionale che resta invariata, a livello territoriale ci sono aumenti e diminuzioni. Si registra un incremento – viene spiegato – in 10 regioni: Molise (più 4,3%), Calabria (più 3,4%), Umbria (più 2,8%), Liguria (più 2%), Lazio (più 1,9%), Marche (più 1,7%), Friuli Venezia Giulia (più 1,6%), Trentino Alto Adige (più 1,4%), Toscana (più 0,8%), Piemonte (più 0,7%). Mentre le tariffe sono in diminuzione in sei regioni: Abruzzo (meno 2,8%), Veneto (meno 2,2%), Sardegna (meno 1,5%), Sicilia (meno 1,4%), Puglia (meno 0,8%) e Campania (meno 0,4%). La spesa resta invariata in quattro: Basilicata, Emilia Romagna, Lombardia e Valle d’Aosta.

La città con la tariffa rifiuti più costosa nel 2020 è Catania, dove si pagano 504 euro a famiglia all’anno (come nel 2019); mentre quella più economica è Potenza, con 121 euro a famiglia. Rispetto ai 112 capoluoghi di provincia presi in esame, ci sono state alcune variazioni della tariffa rispetto all’anno precedente, con un aumento in 30 capoluoghi, una diminuzione in 11. A Crotone viene segnalato l’incremento più elevato con più 14,1%; a Venezia invece la diminuzione più consistente con un meno 16,2%. A livello di aree geografiche, in media c’è una differenza di 91 euro di costi tra Nord e Sud del Paese: al Nord, dove costano meno, la media è di 258 euro (uguale rispetto al 2019), al Centro è di 304 euro (era di 299 nel 2019), al Sud che è l’area più costosa è di 349 euro (erano 351 nel 2019).

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Sono proprio quei 91 a parlarci del divario tra Nord e Sud, soprattutto se si incrociano con i dati dell’ultimo rapporto Rifiuti urbani dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra) da cui risulta che gli italiani nel 2018 hanno prodotto 30,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e che la maggioranza viene prodotta dal Nord (47,5%), seguito dal Sud (30,5%) e dal Centro (22%). Entrando nel dettaglio, fa ancora più male vedere che a fronte di una media nazionale di raccolta differenziata al 58,1% (con il 22% che finisce in discarica), a livello di aree geografiche primeggia ancora il Nord (67,7%), seguito dal Centro (54,1%) e dal Sud (46,1%), con picchi di raccolta al di sopra del 70% in Veneto (73,8%), Trentino Alto Adige (72,5%), e Lombardia (70,7%), e discese ripide sotto la soglia del 40% in Sicilia (al 29,5%) e Molise (38,4%).