Bandiere di comodo, contaminazione radioattiva e morti sul lavoro. L’infernale mondo dello smaltimento navi che prosegue incontrastato
L’infernale mondo dello smaltimento navi
(Rinnovabili.it) – Cosa succede alle grandi navi quando invecchiano e giungono a fine vita? Raramente ci si domanda come viene gestita la parte finale di questa catena produttiva, con la demolizione e il recupero delle parti ancora utili. Questi giganti marini – petroliere e navi cargo di varia natura – non possono essere pressate e fatte a pezzi in un deposito di rottami in periferia. Servono tempi molto lunghi, spazi molto ampi e tanta manodopera. Tutto questo significa una sola cosa per gli armatori: quello dello smaltimento navi è un costo molto alto e scomodo da sostenere. Anche perché spesso nella pancia dei colossi si nascondono materiali tossici e perfino radioattivi, pericolosi per le persone che devono lavorare nello smontaggio e per l’ambiente.
Ecco perché questo lavoro viene svolto principalmente sulle spiagge dell’Asia meridionale, in maniera molto spesso non sicura ed ecologicamente insostenibile. Circa il 70% delle navi finisce nei cantieri demolitori di Alang in India, Chittagong in Bangladesh e Gadani in Pakistan. Qui, lavoratori migranti sottopagati smantellano le navi dentro e fuori, spesso senza dispositivi di sicurezza o protezione. Incidenti e vittime sono all’ordine del giorno, così come lo sfruttamento del lavoro.
Secondo i nuovi dati diffusi oggi dall’ONG Shipbreaking Platform, nel 2022 sono state portate nei cantieri di demolizione 443 navi commerciali e unità galleggianti. Di queste, 292 delle più grandi petroliere, portarinfuse (navi che portano carichi non liquidi e non divisi in container), piattaforme galleggianti, navi cargo e passeggeri finiti sulle spiagge di Bangladesh, India e Pakistan, pari a oltre l’80% del tonnellaggio lordo smantellato a livello globale.
L’anno scorso, almeno 10 lavoratori hanno perso la vita durante la demolizione di imbarcazioni sulla spiaggia di Chattogram, in Bangladesh, e altri 33 sono rimasti gravemente feriti. Fonti locali hanno anche riferito di 3 morti ad Alang, in India, e 3 feriti a Gadani, in Pakistan. Alcuni di questi incidenti sono avvenuti a bordo di navi di note compagnie di navigazione, come Berge Bulk, Sinokor e Winson Oil.
Il lavoro di Shipbreaking Platform
Da 14 anni, Shipbreaking Platform tiene un faro acceso su questo mondo sconosciuto, con ricerche e campagne per ottenere un maggior controllo dell’industria globale della demolizione navale. Ha denunciato numerose società e operatori per pratiche irresponsabili. Le indagini dell’ONG hanno portato a un procedimento penale vittorioso che ha creato un precedente legale nell’Unione Europea. Oggi nel vecchio continente ci sono norme che richiedono alle navi battenti bandiera UE di essere riciclate solo in cantieri di demolizione certificati, dove vengono rispettati gli standard di lavoro e ambientali. Tuttavia, questo non ha impedito alle compagnie di navigazione che servono l’Europa di cambiare bandiera quando i loro mezzi si avvicinano alla fine del ciclo di vita. La pratica di utilizzare “bandiere di comodo” è molto diffusa, con Liberia e Panama tra le più popolari.
Secondo Invgild Jenssen, direttrice di Shipbreaking Platform, “stiamo assistendo da troppo tempo a questo scandalo ambientale e dei diritti umani. Tutti gli armatori sono consapevoli della terribile situazione dei cantieri e della scarsa capacità di movimentare in sicurezza i numerosi materiali tossici a bordo delle navi. Eppure, la stragrande maggioranza sceglie di demolire la propria flotta nell’Asia meridionale, dove si possono realizzare i profitti più elevati”.