Durante il Forum Internazionale Polieco sull’Economia dei rifiuti è giunto l’allarme del mondo della scienza: il Mediterraneo è tra i mari più inquinati al mondo. Ogni settimana, entrano nella nostra catena alimentare 5 grammi di plastica: è come se mangiassimo una carta di credito
La plastica in mare entra nella catena alimentare, anche attraverso l’agricoltura
(Rinnovabili.it) – La plastica in mare è un fenomeno del quale siamo ampiamente a conoscenza. Sappiamo, ad esempio, che in ogni chilometro quadrato dei mari italiani sono presenti 129mila frammenti galleggianti. Lo scorso aprile il WWF e l’istituto AWI hanno presentato un report sulla presenza di microplastiche che ci ha svelato dati particolarmente allarmanti per quanto riguarda il mar Tirreno, nel quale è possibile trovare 1,9 milioni di frammenti per ogni metro quadrato. Sappiamo anche, parzialmente, quali impatti abbia sulla salute. La denuncia è arrivata durante il Forum Internazionale Polieco sull’economia dei rifiuti tenutosi a Ischia. “Il mar Mediterraneo – ha detto Silvestro Greco, vicepresidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn – è uno dei mari più inquinati al mondo, oramai le microplastiche sono anche nel nostro sangue e nella placenta, il che vuol dire che ogni bambino prima ancora di nascere ha delle microplastiche in corpo”.
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I dati di uno studio dell’Università di Cagliari dimostrano che in ogni gambero o scampo pescato nei nostri mari sono presenti 47 frammenti di plastica: come se ogni anno nel Mediterraneo fossero scaricati 700 container. Le responsabilità sono soprattutto di Egitto, che contribuisce per il 32%, Italia, che ci mette il suo 15% e a seguire della Turchia, con il 10% di contributo. Questa plastica entra nella nostra catena alimentare, ne ingeriamo 5 grammi ogni settimana: è come se mangiassimo una carta di credito.
Le microplastiche, inoltre, entrano nella nostra alimentazione anche attraverso il consumo di prodotti agricoli: “Le micro e nanoplastiche inquinanti –ha affermato Claudia Campanale, ricercatrice del Cnr Irsa – sono presenti in particolare nei suoli destinati all’agricoltura intensiva dove spesso viene utilizzata la pratica della pacciamatura, ossia il posizionamento di teli per aumentare la resa agricola ma la ricerca sulle microplastiche nell’ambiente terrestre è attualmente in una fase ancora embrionale”.
Le indagini sono però bloccate dalla mancanza di dati, ha denunciato Campanale, per la quale “studi sulla presenza di microplastiche ‘bio-based’ nell’ambiente terrestre e dell’assorbimento di sostanze chimiche su microplastiche di origine biologica, sono quasi totalmente assenti”.
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Per colmare questo gap, Polieco e il Cnr Irsa effettueranno uno studio sugli impatti negativi su suoli e ambienti acquatici dei beni in bioplastica utilizzati in agricoltura.