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Le promesse infrante della COP22

Doveva essere la COP dell’azione, sarà ricordata piuttosto come quella delle promesse infrante. Dal summit sul clima di Marrakesh non arriva nessun risultato

Le promesse infrante della COP22

 

(Rinnovabili.it) – Un anno fa, a Parigi, le ultime ore della COP21 erano state una grande festa. L’annuncio finale – la fatidica firma sull’Accordo – arrivava in ritardo, perché nella grande sala tutti i delegati si profondevano in gesti di vittoria e sorrisi invece di tornare al loro posto. La COP22 ha terminato i lavori alle 2,47 di stanotte: il summit di Marrakesh si è svuotato alla chetichella, quasi in silenzio e senza grandi annunci. Notte fonda in tutti i sensi. Doveva essere la COP dell’azione, sarà ricordata piuttosto come quella delle promesse infrante. Nello stesso momento, noncuranti delle diatribe politiche dell’uomo, i termometri del Polo Nord – dove è iniziata la notte artica – segnavano temperature di 20°C superiori alla media.

La COP22 non ha affrontato i dilemmi del clima della Terra perché è stata troppo occupata a discettare del clima politico. Quasi duecento nazioni si sono lasciate prendere in ostaggio dallo spauracchio di Donald Trump, dando vita a un vero e proprio dramma psicopolitico. Vi sono ragioni concrete per temere, non lo si può negare. Ma le elezioni americane, a conti fatti, sono state la scusa perfetta per non andare oltre sfavillanti quanto vuote dichiarazioni di intenti.

 

 Il mondo vs Donald Trump

La dichiarazione finale, fortemente voluta dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, è uno show di unità. Tutti i paesi riaffermano il loro massimo impegno contro il riscaldamento globale e promettono di proseguire lungo la via indicata dall’Accordo di Parigi. Un messaggio indirizzato soprattutto al neo presidente degli Stati Uniti e alle sue posizioni di negazionista del clima. Se gli Usa uscissero dai binari dell’accordo, come ha sostenuto Trump, si rischierebbe di far deragliare l’intero convoglio di 196 Stati.

Per arginare l’effetto di una possibile uscita del secondo inquinatore mondiale dal gruppo, durante il summit Cina, Unione Europea, Brasile e India hanno ribadito la necessità di proseguire i lavori, mettendo in chiaro che il processo continua e continuerà qualunque cosa accada.

 

Cosa (non) ha deciso la COP22

Le promesse infrante della COP22In concreto, il summit di Marrakesh non ha prodotto quasi alcun risultato degno di nota. Le speranze che si erano accumulate alla vigilia sono state infrante una dopo l’altra. Su nessun capitolo negoziale si sono compiuti davvero dei passi avanti: in alcuni casi ci si è accordati sulle questioni procedurali, ma i nodi politici restano ancora tutti da sciogliere.

 

Trasparenza

È quanto è successo sul capitolo della trasparenza, perennemente in bilico tra necessità di una valutazione globale uniformata e la difesa della sovranità nazionale. Su questo punto non si è andati oltre la stesura preliminare di un piano comune per l’implementazione dell’Accordo di Parigi. In altri termini, un insieme di regole che gli Stati si dovrebbero impegnare a rispettare: l’obiettivo è creare un sistema condiviso per giudicare l’efficacia delle politiche nazionali sul clima e misurare i tagli alle emissioni.

La roadmap, abbozzata a Marrakesh, verrà limata il prossimo anno in sede di COP23 (la organizzeranno le Fiji, ma sarà ospitata dalla Germania a Bonn). Dovrebbe poi entrare in vigore soltanto nel 2018, anno in cui è prevista la revisione degli impegni per tutti gli Stati. Bisognerà quindi attendere fino alla COP24 (probabilmente in Polonia).

 

Tagli alle emissioni

Nessun paese ha aggiornato i piani nazionali di taglio alle emissioni (NDC), nonostante le più attendibili agenzie internazionali abbiano ormai messo in chiaro che gli impegni annunciati finora non bastano per centrare gli obiettivi sul clima concordati a Parigi. Quattro Stati (Usa, Canada, Messico e Germania) hanno presentato i loro piani aggiornati con orizzonte 2050, dove si impegnano a tagliare le emissioni dell’80-95%. Come lo faranno, però, resta da dettagliare.

L’unico risultato in questo ambito, quindi, resta la promessa dei 47 paesi del Climate Vulnerable Forum (CVF), l’associazione internazionale delle nazioni maggiormente colpite dagli effetti del cambiamento climatico, di ridurre drasticamente le emissioni di carbonio e a passare rapidamente ad un’alimentazione al 100% di energia rinnovabile, oltre a presentare NDC aggiornati prima del 2020. Inoltre Usa, Gran Bretagna e Germania hanno annunciato la creazione di un fondo per aiutare i paesi in via di sviluppo a monitorare meglio le proprie emissioni. L’importo però è di appena 50 mln di dollari.

 

Le promesse infrante della COP22Finanziamenti climatici

La COP22 ha tradito ogni aspettativa per quanto riguarda i finanziamenti climatici. L’Accordo di Parigi prevede la mobilizzazione di 100 mld di dollari entro il 2020 da parte dei paesi più ricchi. Una cifra ritenuta da più parti troppo bassa. A Marrakesh però non solo non è stata rivista al rialzo, ma non si è stati neppure in grado di garantire che quei soldi arrivino davvero. Anche in questo caso, i delegati hanno trovato un accordo soltanto su una fumosa roadmap preparata da Gran Bretagna e Australia. I paesi poveri, pur accettandola, hanno ancora delle riserve sulla metodologia di rendicontazione.

 

Fondo per l’Adattamento

Previsto già dal protocollo di Kyoto, rispolverato l’anno scorso a Parigi, il fondo per l’Adattamento ha rischiato di scomparire durante la COP22. A spingere in questa direzione sono anche i paesi che dovrebbero riceverne i finanziamenti, perché ha meccanismi troppo farraginosi e non sta producendo risultati apprezzabili. Come per tutto il capitolo dei finanziamenti climatici, anche nel caso delle misure di adattamento rispetto ai cambiamenti climatici non sono stati promessi nuovi fondi. Intanto sta andando in rosso il Clean Development Mechanism, e le discussioni su come rivitalizzarlo sono state rimandate di altri 6 mesi.

 

Loss & Damage

In alto mare anche il meccanismo dei loss & damage,  i risarcimenti per le perdite e i danni irreparabili subìti dai paesi vulnerabili a un cambiamento climatico innescato dalle economie avanzate. Punto tra i più controversi, perché i paesi ricchi sono decisamente restii ad aprire il portafogli senza aver prima un’idea chiara di cosa è considerato un danno e cosa no e temono di dover sborsare cifre altissime. L’unico risultato raggiunto, per così dire, è un accordo su come impostare le discussioni nei prossimi meeting. Incontri che sono stati previsti per i prossimi 5 anni. Difficile che prima di allora si sblocchi qualcosa.