L’indice sugli impatti ambientali delle attività di impresa elaborato dalla World Benchmarking Alliance’s (WBA), presentato in questi giorni alle COP15 sulla biodiversità a Montreal, ha valutato 400 imprese, mostrando che una larga parte non rispetta i diritti umani e il ruolo delle comunità locali e dei popoli indigeni. Solo il 5% è attento agli impatti ambientali.
(Rinnovabili.it) – Solo 5 imprese ogni 100 prestano attenzione agli impatti ambientali delle proprie attività. L’indice della World Benchmarking Alliance’s (WBA) ne ha catalogate quasi 400, la maggior parte delle quali in posizioni basse a causa di uno scarso interesse per le conseguenze delle proprie attività su natura e diritti umani delle comunità locali e indigene dei territori su cui operano.
Tra le imprese che hanno guadagnato valutazioni negative ci sono alcuni tra i marchi più influenti al mondo come Rio Tinto, Bayer, Kering, Vale e Novartis. L’indice verrà presentato in questi giorni a Montreal, durante la COP15 per la biodiversità.
Vicky Sins, World Benchmarking Alliance’s Nature Transformation Lead, ha dichiarato: “Non possiamo realizzare un futuro a zero emissioni senza proteggere il mondo naturale e le sue comunità. Il primo passo urgente per le aziende è effettuare una profonda valutazione sulla natura. Senza comprendere il loro rapporto con la natura e il modo in cui le operazioni danneggiano o aiutano la biodiversità, come possono le imprese comprendere quali azioni intraprendere? Le aziende devono misurare e riferire su come interagiscono con la natura – incluso come le loro attività influenzano la deforestazione, l’inquinamento e la perdita della natura”.
Gli impatti ambientali delle attività di impresa
L’indice si concentra sulle politiche e le attività delle imprese impegnate in otto settori critici per i potenziali impatti ambientali: metalli e miniere; costruzioni e ingegneria; materiali e forniture per costruzioni; contenitori e imballaggi; farmaceutico e biotecnologico; pneumatici e gomma; abbigliamento e calzature; prodotti chimici.
In gran parte dei casi le catene di valore delle imprese sono responsabili della perdita di biodiversità, ma in realtà soltanto il 5% delle aziende mappate si preoccupa di realizzare valutazioni scientifiche sui propri impatti ambientali; inoltre, sebbene il 50% delle aziende affermi di voler ridurre le proprie emissioni di gas serra, il 97% non ha ancora definito la propria strategia per raggiungere gli obiettivi climatici del 2030. Solo l’1%, infine, è consapevole di quanto le proprie attività siano dipendenti dallo stato di salute del Pianeta e dalla necessità di arrestare la perdita di biodiversità.
L’impatto delle attività di impresa sui diritti umani
Un modo per mitigare gli impatti ambientali delle attività d’impresa potrebbe essere lavorare sul coinvolgimento e l’ingaggio delle conoscenze e delle competenze delle comunità locali e dei popoli indigeni che spesso abitano i territori su cui insistono i progetti delle grandi aziende, massimizzando le pratiche che hanno già garantito la protezione degli ecosistemi.
Anche da questo punto di vista, però, non ci sono buone notizie. Solo il 13% delle aziende ha preso impegni chiari sul rispetto dei diritti dei popoli indigeni; solo il 5% si impegna a rispettare il diritto delle comunità a un consenso libero, informato e previo rispetto all’inizio delle operazioni; solo il 2% ha adottato politiche di intervento per prevenire gli esiti violenti delle persecuzioni di attivisti e difensori dei diritti umani e del territorio.
Serve più impegno dalle imprese e una chiara direzione dai decisori politici
Alla luce dei dati elaborati nel report, WBA esorta le imprese ad avere maggiore trasparenza circa gli impatti ambientali delle proprie attività, specie per quanto riguarda la perdita di biodiversità e la scomparsa di specie a rischio. Solo il 14% delle aziende monitorate dichiara chiaramente se lavora vicino ad aree di alto valore ecologico o hotspot di biodiversità, solo il 7% conosce, traccia ed elenca le specie a rischio che vivono nei pressi dei luoghi in cui opera.
L’appello è a migliorare queste performance, contrastando, ad esempio, la deforestazione o proteggendo le zone umide: attività in cui è impegnato meno del 5% dei casi studiati.
Tra gli impatti ambientali delle attività di impresa ci sono sicuramente la produzione di rifiuti e la dispersione di inquinanti atmosferici ed idrici, ma solo il 29% delle 389 aziende interrogate si sta impegnando a ridurre l’uso di plastica e la produzione di rifiuti.
Se da un lato serve maggior impegno da parte di chi fa business, questo non può essere a titolo volontario. L’appello di WBA si rivolge infatti ai decisori politici, chiedendo loro di imporre alle imprese meccanismi di monitoraggio e valutazione dei propri impatti ambientali e sui diritti umani, e che siano obbligate a rendere rendere pubblici gli esiti di questi esami.
Appello che fa parte della campagna di Business for Nature “Make it Mandatory” ed è stato diffuso proprio in questi giorni visto che oggi comincia la COP15 per la biodiversità a Montreal
“Un obiettivo cruciale della COP15 – ha spiegato Sins – è di raggiungere un “Accordo di Parigi per la natura”, ma la protezione della natura non è fattibile senza il ruolo vitale del settore privato. Abbiamo bisogno che a tutte le aziende sia chiaro il fatto che il loro successo è strettamente legato al loro rapporto con il mondo naturale che le circonda – su cui molti di loro si basano. Le imprese sono destinate ad affrontare una crescente responsabilità sulla natura – che avrà un forte impatto positivo. Alcune delle società con i migliori risultati nel benchmark, come le società minerarie, sono quelle più sotto esame”.