Nell’Emission Gap Report 2023 pubblicato dall’UNEP, un capitolo intero è dedicato al ruolo delle tecnologie CDR nella riduzione del gap emissivo rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Più andiamo verso i 2 gradi e più avremo bisogno di ricorrere in modo massiccio a quelle tecnologie che oggi non sono mature, scalabili o economicamente convenienti
L’analisi dell’UNEP delle tecniche di rimozione della CO2 valuta 7 criteri
(Rinnovabili.it) – In tutti gli scenari emissivi presentati dall’ultimo rapporto dell’IPCC, le strategie e le tecnologie per la rimozione della CO2 svolgono un ruolo. Ai livelli di emissioni di gas serra e di temperatura globale a cui siamo arrivati, è ormai impensabile mettersi sulla traiettoria giusta per tenere il riscaldamento globale vicino agli 1,5 gradi senza appoggiarsi alla capacità naturale di certi ecosistemi di assorbire e stoccare carbonio, o alle tecnologie – in gran parte ancora sperimentali – per catturare l’anidride carbonica.
Ma non tutte le modalità di rimozione della CO2 sono uguali. Lo sottolinea l’ultimo rapporto dell’UNEP, l’Emission Gap Report 2023, presentato il 20 novembre a ridosso dell’inizio del vertice sul clima di Dubai (Cop28). Un rapporto che dedica un intero capitolo a mappare, analizzare e classificare tutti i modi con cui possiamo togliere naturalmente o artificialmente CO2 dall’aria.
Molti i fattori passati al vaglio, dal livello di maturità alla scalabilità, dalla facilità di monitorare e verificare i risultati raggiunti alla percezione pubblica. Fino ai costi e alla durata dello stoccaggio di CO2.
La classifica delle tecniche di rimozione della CO2
I metodi meno maturi e con più margini id incertezza sono la fertilizzazione e l’alcalinizzazione dell’oceano, tecniche di geoingegneria con cui si aumenta la fotosintesi del fitoplankton e si modifica il ph delle acque superficiali, in entrambi i casi per aumentare la capacità dell’oceano di assorbire CO2. I costi non sono ancora quantificabili mentre sono stati fatti pochissimi progressi su tutti gli altri aspetti. Ma sarebbero i metodi che assicurano la durata maggiore allo stoccaggio di CO2, nell’ordine di secoli o millenni.
Tra i molti metodi land-based per la rimozione della CO2, cioè quelli basati sul rafforzamento di processi biologici naturali di determinati ecosistemi, il più promettente è il ripristino delle torbiere e delle zone umide costiere. Con un costo inferiore ai 100 dollari per tonnellata di CO2, eccelle sotto tutti gli aspetti tranne che nella facilità di monitorare e verificare quanta CO2 viene sequestrata e per quanto tempo.
Altrettanto maturi e convenienti economicamente, ma meno affidabili sotto altri profili, sono le operazioni di afforestazione, riforestazione e di aumento della capacità di sequestro di CO2 dei suoli. Progressi solo moderati nella loro scalabilità, problemi nel monitoraggio e, per il potenziamento delle foreste, notevoli difficoltà nella comprensione delle possibili conseguenze indesiderate, rendono questi strumenti meno affidabili.
A un gradino più in basso in quanto ad affidabilità complessiva sono collocati biochar, il carbone vegetale ottenuto per degradazione termica, e la bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS). Oltre a costi relativamente più alti – tra i 100 e i 500 $/tCO2 – entrambi questi metodi mostrano progressi solo moderati in tutti i fattori analizzati, benché siano entrambi a un buon livello di maturità.
Più sfumata la valutazione sulla rimozione della CO2 tramite tecnologie di cattura diretta dall’aria (Direct Air Capture, DAC). Per quanto sia un procedimento tecnologicamente considerato ormai maturo e facile da monitorare nei risultati, presenta ancora dei limiti quanto a scalabilità e convenienza economica (la stima UNEP è di oltre 800$/tCO2).
Secondo l’Emission Gap Report 2023, tutte queste tecnologie e questi approcci devono essere pensati come complementari, e non sostitutivi, agli sforzi di riduzione delle emissioni convenzionali, da realizzare soprattutto abbattendo i gas serra generati dalle fossili. In ogni caso, negli scenari emissivi più vicini a 1,5 (con e senza overshoot), il ricorso alla rimozione della CO2 non è presente su larga scala prima del 2035.
In uno scenario compatibile con 1,5°C, al 2050 la rimozione di CO2 land-based contribuisce a livello globale abbattendo 3,6 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno (GtCO2), mentre le nuove tecnologie CDR (Carbon Dioxide Removal) per 5,6 GtCO2. Nel 2035 il loro contributo si ferma, rispettivamente, a 2,8 e 1 GtCO2. In uno scenario più vicino a un riscaldamento globale di 2°C, invece, il loro apporto vale 1,1 e 0,3 GtCO2 l’anno al 2035, per poi salire a 1,6 e 7,1 GtCO2 nel 2050.
Più il riscaldamento globale aumenta e si avvicina alla soglia meno ambiziosa dell’Accordo di Parigi, quindi, e più sarà necessario il ricorso alle soluzioni tecnologiche di CDR che, per il momento, non sono ancora realmente disponibili o impiegabili su larga scala.