Entro la fine del decennio, le emissioni del paese dovranno calare del 43%. Secondo Climate Action Tracker è un valore “quasi sufficiente”, ma dovrebbe passare al 57% per essere compatibile con gli 1,5 gradi
Il nuovo governo Albanese ha mantenuto una promessa chiave della campagna elettorale sugli obiettivi climatici
(Rinnovabili.it) – Dopo 11 anni l’Australia aggiorna finalmente la sua legge sul clima. E fissa obiettivi climatici più ambiziosi. Non ancora sufficienti per allineare con l’accordo di Parigi la principale economia del G7 ancora legata al carbone. Ma abbastanza per imprimere una svolta dopo i governi di Malcolm Turnbull e Scott Morrison, che si erano ripetutamente rifiutati di aumentare i target di riduzione delle emissioni.
Il governo di Anthony Albanese incassa così la sua prima vittoria in tema clima. La legge appena approvata, infatti, contiene i due capisaldi della posizione del leader laburista: la neutralità climatica entro il 2050 e l’aumento del target di taglio dei gas serra, del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005.
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“Oggi è un buon giorno per il nostro parlamento e per il nostro paese, e ne serviranno molti di più”, ha commentato il ministro al Cambiamento climatico Chris Bowen. I nuovi obiettivi climatici, ha aggiunto, permetteranno all’Australia di “cogliere le opportunità economiche offerte dalle energie rinnovabili a prezzi accessibili”, mentre “la definizione di questi obiettivi dà certezza agli investitori e agli operatori del mercato energetico e contribuirà a stabilizzare il nostro sistema energetico”.
Oltre ai macro obiettivi climatici, la nuova legge prevede l’obbligo, per il ministro competente, di tenere in parlamento un discorso annuale sullo stato del clima. Inoltre, contiene delle misure per migliorare la trasparenza.
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Ma la legge clima non va oltre questi elementi, per così dire, di facciata. Mancano le misure di base per raggiungere i target, lamentano molti osservatori. Ad esempio, tace del tutto sulle misure per tagliare le emissioni nel settore privato. Che ne esce indenne. E infatti applaude.
Manca poi anche qualsiasi considerazione su prezzi del carbonio e sull’inserimento del costo sociale del carbonio, cioè una stima fissa dei costi da sostenere in futuro per ogni tonnellata di CO2 emessa, che orienta la valutazione delle politiche pubbliche. Un elemento, quest’ultimo, in vigore in altri paesi anglosassoni come Stati Uniti e Canada.