Rinnovabili • Negoziati intermedi sul clima 2023: stallo totale Rinnovabili • Negoziati intermedi sul clima 2023: stallo totale

Che clima fa a Bonn? Tutto quello che c’è da sapere sullo stallo ai negoziati intermedi sul clima 2023

Il Sud globale e la Cina vogliono rivoluzionare la diplomazia climatica: si deve parlare di responsabilità storiche dei paesi più ricchi. È questo il nodo più duro da sciogliere alla conferenza di Bonn, che terminerà il 15 giugno

Negoziati intermedi sul clima 2023: stallo totale
crediti: UNFCCC via Flickr CC BY-NC-SA 2.0

I negoziati intermedi sul clima 2023 preparano gli accordi che saranno siglati alla Cop28 di Dubai a dicembre

(Rinnovabili.it) – Stallo quasi totale. Si può riassumere così la prima settimana dei negoziati intermedi sul clima 2023 (SB58), il vertice che si tiene ogni anno a Bonn per preparare il terreno agli accordi che dovranno essere chiusi a fine anno alla Cop. Nessuno dei nodi principali è stato sciolto. Il dissenso è profondo. I delegati non sono nemmeno riusciti ad approvare l’agenda dei lavori, e quindi a decidere di cosa si deve discutere (e il ruolo che questi temi avranno alla Cop28 di Dubai). Vediamo punto per punto cosa c’è in ballo.

Braccio di ferro sull’agenda

Quello dell’agenda è un punto fondamentale per capire cosa sta succedendo ai negoziati intermedi sul clima 2023. Perché è in gioco l’impostazione stessa della diplomazia climatica dei prossimi anni. I campi sono due: grosso modo il Nord e il Sud globali (quest’ultimo appoggiato dalla Cina, che anche se è la 2° potenza economica mondiale è classificata ancora come paese in via di sviluppo nell’ambito della Convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico, Unfccc).

A puntare i piedi è il Sud globale. Replicando lo schema che ha funzionato così bene alla Cop27. L’anno scorso a Sharm el-Sheikh i paesi in via di sviluppo hanno strappato la creazione del fondo per le perdite e i danni (Loss & Damage), facendo passare il principio che i paesi ricchi devono finanziare quelli più vulnerabili alla crisi climatica al di là del capitolo dei 100 miliardi l’anno in finanza climatica.

Quest’anno provano a fare la stessa cosa: si muovono uniti, votano compatti, portano avanti la stessa agenda. È in questo modo che sono riusciti a bloccare tutto a Bonn. Nessuna adozione dell’agenda dei lavori se non si mettono sul tavolo garanzie per i Loss & Damage, fondi per l’adattamento, e soprattutto se non passa il principio delle responsabilità storiche nel Global Stocktake.

Cosa deve includere il Global Stocktake?

Di cosa si tratta? Quest’anno la Cop28 di Dubai deve tirare le fila del processo di revisione delle politiche sul clima e dei loro risultati a livello globale tra il 2020 e oggi. È un processo previsto dall’Accordo di Parigi e serve per avere una base di dati comune e condivisa su cui lavorare per correggere la rotta. In altre parole: l’esito del Global Stocktake non sono solo numeri, ma numeri che indirizzano le politiche sul clima dei paesi nei prossimi anni.

Il Sud globale vuole che il Global Stocktake non parli sono delle azioni compiute negli ultimi 4 anni, ma che lo faccia integrando anche le responsabilità storiche dei paesi più ricchi: le emissioni cumulate dall’inizio dell’età industriale, il loro peso specifico nella crisi climatica. Sarebbe una rivoluzione, che approfondisce e di molto il principio alla base della diplomazia climatica contemporanea, cioè quello delle responsabilità comuni ma differenziate introdotto nel 1992. Finora le responsabilità sono state differenziate in base alla disponibilità economica – motivo per cui il Nord globale vuole che anche la Cina inizi a sborsare – mentre la proposta del Sud globale è di differenziarle sulla base della storia degli ultimi secoli.

Gli altri temi in discussione ai negoziati intermedi sul clima 2023

I litigi non finiscono qui. Un altro dossier incandescente è quello del Mitigation Work Programme (MWP). Il MWP dovrebbe spiegare come raggiungere l’obiettivo di tagliare del 43% i gas serra globali entro il 2030. Il problema è che i paesi produttori di petrolio stanno bloccando qualsiasi decisione. Il loro timore (giustificato) è che quest’anno ci sia una maggioranza di paesi abbastanza agguerrita a chiedere che si parli finalmente di phase out delle fonti fossili, la principale causa del cambiamento climatico di origine antropica. Ma in questo modo restano al palo anche altri obiettivi, come quello sulla capacità installata globale di rinnovabili.

In più i petrolstati trovano la sponda del resto del Sud globale, che vuole usare il MWP per lo stesso fine della Global Stocktake: bloccare qualsiasi esito se non si parla di mitigazione sulla base delle responsabilità storiche. Restano pochi giorni per sciogliere tutti questi nodi: in teoria i negoziati intermedi sul clima 2023 terminano giovedì 15 giugno.