A due mesi dalla Cop28 di Dubai, dove dovrebbe entrare formalmente in funzione, i lavori tecnici per rendere operativo il fondo perdite e danni creato alla Cop27 sono bloccati su un punto cruciale: chi può avere diritto di ricevere le risorse del fondo?
A margine dell’assemblea generale ONU si è svolta la ministeriale per il fondo perdite e danni
(Rinnovabili.it) – Chi ha diritto di ricevere i fondi per le perdite e i danni causati dalla crisi climatica? Tutti i paesi che non donatori, o soltanto una platea più ristretta? È questo il punto più caldo dei negoziati per il nuovo meccanismo Loss & Damage, che dovrebbe vedere la luce ufficialmente durante la Cop28 di Dubai. A due mesi dall’inizio del vertice, però, un accordo sembra ancora lontano.
Il meccanismo Loss & Damage è stato lanciato l’anno scorso con la Cop27 in Egitto e ha segnato una vittoria storica, nell’ambito della diplomazia climatica, per i paesi in via di sviluppo e quelli meno sviluppati (guidati dalla Cina, che ai sensi dell’UNFCCC è ancora classificata come “in via di sviluppo”). Una volta a regime, questo fondo dovrebbe convogliare le risorse messe a disposizione dai paesi più ricchi per finanziare opere di adattamento alla crisi climatica e di mitigazione dei danni subiti a causa del climate change nei paesi più colpiti dal riscaldamento globale.
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L’accordo politico raggiunto nel 2022 a Sharm el-Sheikh, però, deve ora essere dettagliato in tutti i suoi aspetti tecnici. E tra i punti da specificare c’è anche la platea dei riceventi. Il testo dell’accordo della Cop27 si limita a dire che al meccanismo Loss & Damage possono accedere “developing countries that are particularly vulnerable”, paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili. La definizione è ambigua, perché non è accompagnata da dettagli su chi può essere considerato “particolarmente vulnerabile”.
A margine dell’assemblea generale dell’ONU che si è svolta settimana scorsa i negoziati sul meccanismo Loss & Damage hanno fatto emergere posizioni ancora molto distanti. Per molti paesi ricchi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e l’Unione Europea, bisogna usare una definizione ristretta. I beneficiari potrebbero essere solo i paesi classificati come meno sviluppati (46, di cui 33 in Africa) e i piccoli stati insulari in via di sviluppo (39 paesi che ospitano meno dell’1% della popolazione mondiale).
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Sul fronte opposto, quei paesi che sono classificati come in via di sviluppo premono per poter accedere ai fondi, dopo aver giocato un ruolo cruciale nella creazione del meccanismo Loss & Damage. Restringere la platea di beneficiari, dal loro punto di vista, equivale a introdurre un elemento di discriminazione.
“Tutti i paesi in via di sviluppo vulnerabili, indipendentemente dal loro livello di sviluppo e dalla loro collocazione geografica, devono essere ammissibili”, ha affermato il ministro degli Esteri pakistano Jalil Abbas Jilani durante l’incontro ministeriale sul dossier che si è svolto a New York. “Non saremmo in grado di dare il nostro sostegno a un approccio così selettivo, divisivo ed escludente”.
Ugualmente divisivo è il tema speculare, ovvero: chi deve mettere le risorse? Anche qui, i paesi sviluppati premono, già da un anno, perché anche la Cina contribuisca nonostante figuri formalmente come in via di sviluppo. La posizione europea sostiene che dovrebbe contribuire al fondo ogni stato che è in condizioni di farlo. Sul versante opposto, i paesi in via di sviluppo fanno valere la responsabilità storica dei paesi avanzati nell’aver alimentato la crisi climatica.