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Leaders Summit on Climate: tutti gli annunci sul clima della prima giornata

Molte le nuove promesse di tagli delle emissioni. Giappone e Canada puntano in alto. Positiva anche la risposta della Cina, che cancella per un giorno le tensioni con gli USA. L’Europa si ritaglia una parte: nell’ETS entreranno anche trasporti e edilizia. Bolsonaro parla solo di deforestazione (ma aspetta 1 miliardo di dollari), la Russia non va oltre frasi di circostanza.

Leaders Summit on Climate: tutti gli annunci sul clima della prima giornata
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Bilancio positivo per le prime 24 ore del Leaders Summit on Climate di Biden

(Rinnovabili.it) – La prima giornata del Leaders Summit on Climate ha ottenuto più risultati di quanto si prevedeva alla vigilia. La scossa all’azione climatica globale c’è stata, e gli Stati Uniti – paese organizzatore di questo vertice – possono tirare un sospiro di sollievo. Perché non sono stati soltanto gli Stati amici a rispondere alla chiamata di Biden. Nuovi impegni sul clima e obiettivi più ambiziosi sono arrivati anche da paesi con cui Washington non ha un ottimo rapporto. Segno che, almeno per il momento, la diplomazia climatica funziona bene e non patisce troppo gli alti e bassi della politica internazionale.

Cosa è successo alla prima giornata del Leaders Summit on Climate?

Le prime 24 ore del Leaders Summit on Climate sono state dedicate agli impegni sul clima soprattutto in termini di riduzione delle emissioni, ma sono stati toccati anche altri temi come l’accelerazione della transizione energetica e la protezione della biodiversità. Biden ha spronato i 40 leader mondiali invitati ad annunciare durante il vertice obiettivi climatici più ambiziosi. E ha iniziato lui per primo.

Gli Stati Uniti hanno finalmente annunciato i loro Nationally Determined Contribution (NDC) aggiornati. Entro il 2030, l’amministrazione Biden vuole ridurre del 50-52% la CO2 rispetto ai livelli del 2005. I tagli emissivi dovrebbero provenire da centrali elettriche, automobili e altri settori industriali, ma per ora senza target o obblighi “individuali”.

Va ricordato che questo taglio non è comparabile con quello annunciato dall’UE, che è fissato al 55%. Infatti, gli USA lo calcolano sui valori del 2005, mentre Bruxelles su quelli del 1990. A conti fatti, quindi, l’America si è impegnata a tagliare la CO2 del 41% rispetto ai livelli del 1990. Si tratta comunque di un obiettivo doppio rispetto a quello fissato in precedenza da Obama. E siccome gli Stati Uniti sono il secondo inquinatore mondiale per volumi di emissioni di gas serra, il peso specifico di questo taglio è molto alto.

Altri annunci sono arrivati da alleati degli Stati Uniti, su cui l’inviato per il clima John Kerry aveva fatto molte pressioni nelle ultime settimane. Il Giappone è il paese che prova a fare il passo più lungo: -46% di emissioni entro il 2030, rispetto però ai livelli del 2013. L’obiettivo precedente era del 26%. La Corea del Sud, che come Tokyo alla fine del 2020 ha annunciato l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, si è limitata invece a dichiarare lo stop ai finanziamenti pubblici a nuove centrali a carbone. Il Canada di Trudeau promette forte: taglio delle emissioni del 40-45% rispetto ai livelli del 2005 entro i prossimi 10 anni (finora l’obiettivo era fissato al 30%).

Infine una nota sull’Europa. Ursula von der Leyen ha potuto parlare fregiandosi della nuova legge sul clima su cui i Ventisette hanno appena trovato un accordo, e quindi confermare il taglio delle emissioni del 55% entro il 2030. Ma ha aggiunto anche un’altra promessa: l’ETS europeo sarà allargato per includere anche trasporti e edilizia. Una mezza rivoluzione.

India e Brasile, presenti-assenti

Con ben maggiore cautela vanno presi invece gli annunci di altri paesi. A partire dall’India, che ha opposto molta resistenza alle pressioni di Kerry. Il paese asiatico, che pesa per il 7% delle emissioni globali di gas serra, non ha annunciato alcun nuovo obiettivo ma si è limitato a riconfermare la volontà di installare 450 GW di rinnovabili entro il decennio.

Il Brasile di Bolsonaro non ha nemmeno provato a parlare di emissioni, ma di deforestazione sì. La promessa dell’ex parà, che ha indossato la cravatta nel 2019 per diventare presidente, è di azzerare la deforestazione nel paese entro il 2030. Nei primi 2 anni del suo mandato il logging, legale e illegale, è tornato a crescere a dismisura, anche a causa della militarizzazione spinta dell’Amazzonia voluta da Bolsonaro.

Il quale ha un fiuto particolare per le promesse a costo zero. Per quella sulla deforestazione sta cercando di farsi dare almeno 1 miliardo di dollari l’anno, principalmente da Stati Uniti e Norvegia. A cui si aggiunge quella sulla neutralità climatica al 2050, che restano parole al vento visto che il Brasile non ha alcun piano concreto per raggiungerla.

La Russia ha fatto ancora meno. Putin ha detto solo frasi di circostanza, completamente vuote. D’altronde il rapporto con Biden è incandescente dopo che quest’ultimo l’ha definito senza mezzi termini “un killer”. E con le tensioni crescenti in Ucraina, dove i russi stanno ammassando una quantità di truppe al confine con una mobilitazione che non si vedeva dai tempi della guerra fredda e gli americani rispondono inviando due portaerei, non c’erano molti margini.

La Cina non scopre le carte

Molti osservatori attendevano con curiosità il discorso del presidente Xi Jinping. La partecipazione della Cina è stata in bilico fino all’ultimo. L’assenza del primo inquinatore mondiale avrebbe azzoppato il Leaders Summit on Climate. Ma Pechino ha scelto di non rendere anche il clima un dossier su cui scontrarsi con gli Stati Uniti. Non era affatto scontato, visto che la nuova amministrazione americana e i cinesi hanno iniziato il loro rapporto in modo a dir poco tumultuoso, tra sgarbi istituzionali, discorsi infuocati, e tavole rotonde finite quasi a male parole (e tutto questo solo al summit di Anchorage).

Questo non significa che Xi abbia deciso di accodarsi agli USA sul clima. Infatti non ha annunciato nessun nuovo obiettivo, limitandosi a confermare i tre punti chiave già presentati tra lo scorso settembre e marzo di quest’anno: neutralità climatica al 2060, picco delle emissioni entro il 2030, e riduzione del consumo di carbone.

Proprio sul carbone, però, la Cina ha dato qualche dettaglio in più. I tagli avverranno gradualmente tra 2025 e 2030. Non significa che entro il decennio ci sarà un phase out del carbone: più probabilmente, Xi allude all’installazione di nuove centrali (che potrebbe continuare ancora per 4 anni; sono oltre 200 i GW già approvati) e alla dismissione di quelle più  vecchie e inquinanti (che potrebbe iniziare seriamente nella seconda metà del decennio). Ma queste sono speculazioni: bisognerà attendere qualche chiarimento in più da Pechino.

Può sembrare molto poco, e in effetti in termini di impatto climatico è poco. Ma il valore politico è alto e equivale a una mano tesa all’America. Il carbone è il tallone d’Achille della Cina e uno dei punti su cui Pechino può essere meno disposta a negoziare. Non solo il tema è finito nella lista degli argomenti di cui si occuperà la cooperazione bilaterale tra le due potenze (decisi durante l’incontro Kerry-Xie di settimana scorsa), ma adesso spunta un annuncio specifico. E Xi ha ripetuto di voler collaborare con gli USA sul clima e il taglio delle emissioni. Se la guerra dei dazi iniziata con Trump ha lasciato degli strascichi, e li ha lasciati eccome, e se la competizione tra i due paesi si fa sempre più accesa tra dispute territoriali e braccio di ferro su certe tecnologie come i superconduttori, la politica climatica non sembra risentirne.