Rinnovabili • Joe Biden: ecco i primi ordini esecutivi sul clima

Cosa ha deciso ieri Joe Biden sul clima

Gli Stati Uniti rientrano fra 30 giorni nell’accordo di Parigi. Moratoria sulle nuove concessioni alle trivelle nell’artico. Ancora nulla su fracking e neutralità climatica

Joe Biden: ecco i primi ordini esecutivi sul clima
credits: Tibor Janosi Mozes da Pixabay

Subito dopo l’insediamento, Joe Biden ha firmato 17 ordini esecutivi

(Rinnovabili.it) – “Non ditemi che le cose non possono cambiare”. Queste le parole di Joe Biden durante il discorso davanti al Campidoglio che apre il suo mandato da presidente degli Stati Uniti. La nuova amministrazione ha promesso di voltare pagina e segnare la distanza dal precedente inquilino della Casa Bianca. Su tanti temi, e la lotta contro il cambiamento climatico non è l’ultimo della lista.

I primi ordini esecutivi di Joe Biden

“Un grido di sopravvivenza viene dal pianeta stesso. Un grido che non può essere più disperato o più chiaro ora”. In risposta a questo “grido”, Joe Biden ha firmato alcuni importanti ordini esecutivi. Gli ordini esecutivi sono uno strumento legislativo di cui dispone il presidente. Hanno una corsia preferenziale perché entrano immediatamente in vigore e hanno bisogno soltanto della firma del presidente, quindi non devono passare al vaglio del potere legislativo. Ecco quali sono quelli sul clima entrati in vigore da ieri.

Ritorno a Parigi – La decisione più attesa era il ritorno degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima. Il patto stretto nel 2015, che è la principale piattaforma per l’azione climatica globale, era stato aspramente criticato da Donald Trump perché, a suo dire, avrebbe danneggiato irreparabilmente l’industria americana. Trump quindi ne era uscito: l’ordine risaliva al 2017, ma è diventato effettivo soltanto il 4 novembre 2020, proprio il giorno in cui in America si svolgevano le elezioni. Già in campagna elettorale, Biden aveva promesso che avrebbe invertito la rotta non appena avesse messo piede alla Casa Bianca. Promessa mantenuta.

Per come è fatto il regolamento dell’accordo di Parigi, gli Stati Uniti ci metteranno molto meno tempo a rientrare di quanto ce ne hanno messo per abbandonarlo. Infatti, è necessario soltanto un mese all’incirca. Cosa succederà dopo? La mossa è di portata simbolica e segnala la volontà americana di tornare al centro dell’azione climatica globale. Ma ha anche un valore ben più di sostanza. Washington torna a far parte della COP, la Conferenza delle parti, e quindi può tornare a far valere la sua diplomazia climatica. Certamente, la scelta di Biden permette agli USA di rientrare nei giochi in vista della COP26 di Glasgow che si terrà il prossimo novembre.

Nulla di nuovo, per il momento, si è invece mosso riguardo un punto centrale dell’agenda climatica di Biden: fissare una data per il raggiungimento della neutralità climatica. Il presidente aveva promesso di impegnarsi a indicare il 2050, lo stesso orizzonte di altri paesi come l’Unione Europea, il Giappone e la Corea del Sud (per la Cina sarà 10 anni più tardi, nel 2060). Però finora Biden non ha ancora spiegato con quali strumenti legislativi vuole lavorare. Il punto è fondamentale, perché se ricorre a leggi votate dal Senato (dove adesso i democratici hanno la maggioranza, dopo aver sbancato la Georgia in un voto storico) sarà molto più difficile per qualsiasi successore cancellare il provvedimento.

Trivelle – Altra promessa fatta in campagna elettorale, mettere un freno all’estrazione di gas e petrolio in patria. Qui il presidente ha dato seguito soltanto in modo parziale agli annunci. Uno degli ordini esecutivi, infatti, stabilisce una moratoria temporanea sulle nuove concessioni nell’Artico. L’esatto contrario di quanto fatto da Trump. Ma va anche detto che le compagnie petrolifere non si sono rovinate per accaparrarsi le concessioni, anzi le ultime aste sono andate pressoché deserte. In parte per i costi di esercizio (alti) disallineati rispetto a quello del petrolio (basso). In parte perché l’agenda di Biden ha scoraggiato l’impresa.

Niente scosse invece sul fracking. Il presidente aveva promesso di vietare l’uso di tecniche di fratturazione idraulica, necessarie per estrarre gli idrocarburi non convenzionali, su tutte le terre federali. Per ora su questo fronte tutto tace. In ogni caso, va ricordato che l’industria dello shale americana – che con il boom degli ultimi 15 anni ha consegnato all’America l’indipendenza energetica e il ruolo di primo produttore mondiale – insiste per appena il 10% su terre federali. Un eventuale bando deciso da Biden, quindi, avrebbe impatti tutto sommato limitati (anche se ci possono essere ripercussioni più pesanti in alcuni Stati dove i pozzi sono concentrati sulle terre amministrate da Washington).

Addio Keystone XL – E’ la fine dell’odissea del gigantesco oleodotto Keystone XL. Lungo più di 2mila km, la pipeline doveva collegare i giacimenti di sabbie bituminose (tar sands) dell’Alberta, in Canada, con i terminal per l’esportazione situati sul golfo del Messico. La parte canadese è già stata costruita, i lavori su suolo americano sono molto più indietro sulla tabella di marcia. Le tar sands sono tra gli idrocarburi più inquinanti che esistano. Anche per questo motivo, l’opera è nel mirino degli attivisti per il clima da 12 anni. L’Alberta, dal canto suo, ha minacciato di trascinare in tribunale il governo degli Stati Uniti per la cancellazione dell’opera.

Altri provvedimenti legati al clima – Biden ha ordinato alle agenzie federali di avviare una revisione generale di alcuni degli standard che hanno impatti sul clima. Tra questi, ad esempio, quello sui limiti di emissioni. Un altro ordine esecutivo firmato ieri dà come indirizzo alle agenzie federali quello di considerare l’impatto sul clima, sulle comunità svantaggiate e sulle generazioni future in qualsiasi azione normativa che influisca sulle emissioni di combustibili fossili.

Anche in questo caso Joe Biden sta mantenendo una promessa della campagna elettorale. Su un tema, quello della giustizia climatica, che è entrato prepotentemente nella sua agenda grazie alle pressioni dell’ala più radicale del partito democratico, rappresentata da Alexandra Ocasio-Cortez e Bernie Sanders. Ai due era stata affidata la Unity Task Force con il compito di trasformare la piattaforma di Biden sul clima in un fascio di iniziative con più ambizione e incisività.

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