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La missione (quasi) impossibile di Joe Biden

Quali saranno i primi passi del nuovo presidente USA in materia di politica climatica e transizione energetica? E che margini di manovra avrà davvero? Una guida ai prossimi 4 anni di Joe Biden

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Credits: Rick Obst via Flickr | (CC BY 2.0)

 Strada subito in salita per il piano su clima e energia di Joe Biden

(Rinnovabili.it) – E’ il presidente più votato della storia degli Stati Uniti. Ma sarà anche il più verde? Il carico di aspettative sul neo vincitore delle elezioni USA è pesantissimo. Il Joe Biden erede politico di Obama, che aveva firmato l’accordo di Parigi sul clima nel 2015, deve riportare Washington all’interno del patto. E il Joe Biden che farà sloggiare dalla Casa Bianca a gennaio 2021 il suo ingombrante rivale, Donald Trump, deve ricucire gli strappi su ambiente e energia compiuti in 4 anni dal tycoon.

Trump digs coal’, cioè scava il carbone, recitava uno slogan della campagna elettorale del 2016, accompagnato da un Trump compiaciuto e sorridente. Ecco, adesso ‘Sleepy Joe’ (nomignolo velenoso rifilatogli proprio da Trump) deve dare la sveglia agli Stati Uniti e fare in modo che a forza di scavare il paese non si sia preparato da solo la fossa.

Quali saranno i primi passi del neo presidente? Che margini di manovra ha, visto che The Donald ha sconquassato leggi e regolamenti ambientali e disseminato di suoi fedelissimi buona parte dell’apparato burocratico USA? Biden probabilmente farà molto, moltissimo, soprattutto nei suoi primi 100 giorni. Attraverso ordini esecutivi, lo strumento più rapido che ha a disposizione. Così avvierà il processo. Ma la vera partita inizierà subito dopo. Perché tutte queste misure dovranno essere approvate per legge, passando per il Congresso. Dove i repubblicani hanno la maggioranza al Senato e sono già sulle barricate.

Joe Biden, il consenso, i posti di lavoro

Gli americani “ci hanno dato un chiaro mandato per agire sul Covid, l’economia, il cambiamento climatico, il razzismo sistematico”, ha dichiarato Biden nel primo discorso da presidente eletto. Economia e azione climatica saranno legati indissolubilmente, nell’agenda del nuovo presidente. E’ in questo modo che Biden ha presentato la sua proposta su ambiente e energia, fino al punto da ripetere che quando pensa alla risposta al climate change e alla transizione energetica pensa a nuovi posti di lavoro. Un po’ per pararsi dalle critiche dei repubblicani, un po’ per dare un nuovo framing, tutto positivo e accettabile per gli americani, alla tutela dell’ambiente. Tanto che il suo piano, spesso, viene definito dal suo team un climate-and-jobs plan.

D’altronde, ambiente e energia sono stati temi tutt’altro che irrilevanti in queste ultime elezioni USA, secondo molti exit poll. Morning Consult ha rilevato che il 74% degli elettori di Biden ha descritto il cambiamento climatico come “molto importante” per il proprio voto. Un altro exit poll di Fox News e Associated Press ha stabilito che il 67% degli elettori, non solo quelli che votano per Biden, sostiene “l’aumento della spesa pubblica per l’energia verde e rinnovabile”.

Il piano di Biden sulla carta…

Le grandi coordinate dell’azione di Biden sono già note. Le ha messe nero su bianco lo scorso luglio, in un piano che rappresenta la sintesi tra le sue idee (centriste, moderate) e quelle dei ben più radicali Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. E anche per questa ragione è ambizioso. 3mila miliardi di dollari in tutto, 400 mld l’anno in politiche climatiche. USA subito dentro l’accordo di Parigi sul clima. E la promessa di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, allineando gli States all’Unione Europea. Il tutto, creando 10 milioni di posti di lavoro ‘verdi’, soprattutto grazie all’espansione delle rinnovabili e delle funzioni di ricerca e sviluppo.

E aspetti meno ambiziosi, o ambigui. Via il fracking ad esempio – ma solo dai terreni federali, dove insiste soltanto il 10% circa degli impianti che usano la tecnica della fratturazione idraulica. E spinta a favore della cattura e dello stoccaggio di carbonio (CCS), aspetto che da molti è visto come un salvagente per le compagnie fossili – che infatti non hanno fatto sentire troppe critiche al piano, e per ora restano alla finestra. Quest’anno Chevron e Exxon Mobil hanno aumentato le donazioni alla campagna dei democratici, rispetto alle presidenziali passate. E uno dei consiglieri a cui Biden presta più ascolto è Lonnie Stephenson, presidente di un sindacato, l’IBEW, che rappresenta quasi un milione di lavoratori e che spinge per tagliare le emissioni ma senza scartare le fonti non rinnovabili.

… e tutti gli ostacoli per realizzarlo

Rientrare nell’accordo di Parigi sarebbe un passo importante – Biden ha promesso di farlo il giorno stesso del suo insediamento – ma solo simbolico. Perché subito dopo dovrà emanare leggi che permettono al paese di raggiungere gli obiettivi sul clima, oltre a fissarne di nuovi e più ambiziosi. E questa parte è tutt’altro che semplice. Nell’immediato, Joe Biden può usare lo stesso strumento di Trump, cioè gli ordini esecutivi. In questo modo metterebbe subito in marcia il processo. Ma è uno strumento debole, perché ogni decisione presa tramite executive order può essere smantellata in un amen da un prossima amministrazione repubblicana.

Ma resta pur sempre un buon punto d’inizio. I bene informati tra il team della campagna di Biden sono convinti che i primi ordini esecutivi istruiranno le agenzie federali a decidere nuovi limiti per il metano per i pozzi di petrolio e gas, a ripristinare e rafforzare gli standard di risparmio di carburante e a rafforzare gli standard di efficienza per elettrodomestici ed edifici. Ma potrebbe anche spingere per più trasparenza da parte della finanza sui rischi legati al cambiamento climatico. E tra i passi più attesi c’è lo smantellamento di una misura-bandiera di Trump, con cui a tutte le agenzie federali era stato intimato di congelare ogni loro politica sul clima. Biden ha anche detto che il primo giorno della sua amministrazione firmerà un ordine esecutivo per ripristinare la conservazione del 30% della terra e delle acque degli Stati Uniti entro il 2030. Il che soffocherebbe la possibilità di nuove trivellazioni offshore, soprattutto nell’Artico.

Battaglia in Senato

L’ostacolo più grande è il Congresso. Il Senato resta in mano ai repubblicani. E per quell’aula devono passare tutti i disegni di legge. L’azione sul clima di Joe Biden ha già all’orizzonte un enorme collo di bottiglia che può strozzare ogni misura ambiziosa. E’ facile pensare che il Grand Old Party darà battaglia e accetterà di votare solo leggi profondamente emendate e annacquate. Soprattutto se sul partito continuerà a stagliarsi l’ombra di Trump. L’aspetto peggiore della faccenda è che tutta l’ossatura del piano che Biden ha presentato in campagna elettorale deve passare necessariamente per questo iter.

Rimediare non è facile. Un modo sarebbe quello di disseminare fondi per l’azione climatica e la transizione energetica in altri disegni di legge. Ad esempio in un pacchetto di misure per il Covid. O sulle infrastrutture, cavallo di battaglia dei repubblicani che avrebbero difficoltà a spiegare ai loro elettori perché bloccano i fondi per rifare strade e ponti (ma anche per spingere il paese verso la mobilità sostenibile).

Altro sistema sarebbe quello di sfruttare delle agenzie federali che non dipendono organicamente dal Congresso. Ad esempio la Federal Energy Regulatory Commission, che sta sotto il dipartimento per l’Energia ma ha abbastanza indipendenza. Sarebbe una forzatura probabilmente, ma permetterebbe subito uno sprint per tenere a portata di mano l’obiettivo di decarbonizzare la rete elettrica entro il 2035.

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